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apr 08

Zenerswoon – Frames

Frames

Colpisce subito forte il nuovo lavoro degli Zenerswoon. Appena partono le prime note di Spiders, ci si sente come immersi in un vortice hard rock anni’70, in cui i riff della chitarra di Andrea Angelucci ti schiaffano in faccia poderose ventate che sollevano la polvere da terra. Gli Zenerswoon sono di Firenze, non mi sembra che spiri molto forte il vento da quelle parti, allora facciamo che sono di Chicago, che è la winding city per eccellenza. Dai, così fa più figo e magari li vediamo su Mtv. Oltre ad Andrea, anche voce, abbiamo Lorenzo Bettazzi al basso e Stefano Tamborrino alla batteria: un power trio che miscela ottimamente dal 1998 rock e psichedelia, con una attenzione per gli arrangiamenti e dei gusti musicali che fanno pensare immediatamente ad i Motorpsycho, fra i riferimenti citati del gruppo fiorentino.

L’album si chiama Frames, è pubblicato per la NowHerez Records (marchio autogestito dalla band per la pubblicazione del disco) dal 7 maggio di quest’anno e segna un ottimo passo in avanti per una band che aveva già dispensato le sue doti con There in The Sun, che nel 2004 uscì grazie allo sforzo di Stoutmusic ed Antidot, ottimamente ricevuto della stampa italica. La seconda traccia Tubchair rallenta un po’ il ritmo, ci porta verso orizzonti nuovi, mentre Still Made About Me fa la figura della ballatona romantica, infarcita di ottimi testi ma evidenti cali di tensione che ne minano la credibilità: ma è solo un attimo, fin quando parte Do I have a chance che ci culla in un improvviso inframezzo sognato di ottima fattura con un finale che sa un po’ progressive. La cura del suono è stata eccellente, merito di Giulio Ragno Fevero del Teatro degli Orrori, che ha registrato e mixato l’album: Freedom Now vede chitarra e batteria rincorrersi di continuo con accellerzioni ed arresti improvvisi, ma è sul finire che il pezzo regala le emozioni più intense con una fantastica linea vocale, semplice ed immediata che anticipa una incursione in territori tropicali.
Her Flattery è il momento rock dell’album che non sottovaluta l’arpeggio melodico nelle strofe, ma si slancia verso territori più duri nel ritornello, in un ossimoro che riesce molto bene. Ma senza sottovalutare le parti finali del pezzo: ribadisco per l’ennesima volta che la vera bravura degli Zenerswoon sta nelle fasi conclusive delle loro tracce, in cui cambiano completamente registro per trasformarsi in artigiani musicali e rimodellare il loro prodotto in maniera completamente differente da come ce l’avevano fatto pregustare. Più o meno come i ceramisti nelle loro officine. Not What It Seems è senz’altro il pezzo che mi piace di più, ci fa intravedere anche l’altra faccia degli Zenerswoon, che esplode in tutta la sua potenza nel fantastico assolo di Andrea e sembra molto alla lontana un pericoloso incrocio tra i Television all’apice di Marquee Moon (proprio il pezzo dell’omonimo album) nel crescendo finale. Greta ritorna allo schema ballata, sembra uscita da un’altra Jar or Flies è possibile con Layne Staley e Jerry Cantrell ripuliti completamente: iponotizzando l’ascoltatore con una frenate continue ed una linea di chitarra che è un piacere ascoltare. Da tenere in caldo per un possibile unplugged.

Con Selfish Man ritornano i riffoni, ma è solo un attimo prima di una dolce carezza melodica che si protrae troppo a lungo. Infine l’ultimo pezzo, l’unico scritto da Lorenzo Bettazzi, una Then She Came che chiude Frames nella stessa maniera in cui è iniziato, tra poderosi riffoni e melodie ricercate, timbro musicale di un gruppo dalle doti notevoli, ma forse troppo orientato alla dolcezza per piacermi appieno.

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