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apr 08

Clinic + Dispositivo per il lancio obliquo di una sferetta @ Init

Clinic

Momenti così capitano ormai raramente, e perciò da novembre siamo tutti sull’attenti, con una apprensione che variava dalle telefonate al locale per sapere se ci stava una rassicurante ma inesistente prevendita, ad una fuga precipitosa verso l’Init, dove il live di partenza era dato per le 21.30. Noi naturalmente eravamo lì ma il locale doveva ancora aprire…Insieme alle poche persone presenti, entriamo per seguire la traiettoria disegnata dal Dispositivo per il Lancio Obliquo di una Sferetta, il gruppo a cui è stata affidata l’apertura di stasera. Il trio formato da Pisimoni (chitarre, synth e voce), Marcello (chitarra) e Valerio (batteria) parte subito a razzo con pezzi quasi esclusivamente
strumentali, dimostrando un virtuoso utilizzo degli strumenti, difficilmente riscontrabile in altre formazioni romane che abbiamo visto finora.
Veloci accelerazioni si concatenano sul palco in Quella Nuova, formando un vortice sonoro che cattura l’attenzione del sempre più affollato locale: le sperimentazioni rock a cui si affida il Dispositivo rese più evidenti dal trittico Pensacola/Spada Laser Fortissimo/Captain America, ci rapiscono molto, specie chi è affascinato dal lavoro di gruppi come i Battles, a cui faccio risalire la prima volta in cui ho letto della categoria Math Rock, di cui non ho mai capito il significato. Sia perché assolutamente allergico alla definizioni (problema che si ripresenterà in maniera
molto più aggravata con l’arrivo dei Clinic), sia perché assolutamente allergico alla matematica (e mia madre la insegna anche…o forse proprio per questo). Nonostante la miriade di studi in proposito non ho mai saputo associare equazioni algebriche alle onde sonore di gruppi rock. Il Dispo sembra giustamente non curarsene affatto, continua a spaccare sul
palco e, dopo aver lanciato copie gratuite del loro promo La gente mormora, continua le sue evoluzioni  acrobatiche affidate a notevoli dosi di synth e copiose accelerazioni fuori tempo (da citare assolutamente la favolosa Abigaille) che spiazzano la convenzionale difesa a cui siamo abituati come spettatori. Momenti così ormai capitano effettivamente molto di rado. Specie quando il Dispo confessa in realtà la sua reale identità: i Clinic.
Che, dopo una brava pausa ed una birra, arrivano veramente. Incamiciati da personale sanitario di E.R., iniziano con gli strumenti ad operare con precisione chirurgica su qualunque pezzo gli capiti tra le mani, alternando sapientemente a seconda dei casi le dosi di amfetamina o di morfina da somministrare al pubblico, ancora convalescente dallo show precedente. L’alternanza coinvolge anche i pezzi del nuovo album Do It! ed i ben più corposi successi precedenti contenuti soprattutto in Internal Wrangler e Walking With Thee. Molto difficile riuscire a scoprire rotture ed evoluzioni tra un album e l’altro (tra l’altro tutti a cura della Domino Records), anche perché i Clinic non amano variare molto nelle loro produzioni, più di quanto amino variare all’interno dei pezzi che costruiscono. Sembra un paradosso, ma è così. Ade Blackburn (voce, chitarra, tastiere, armonica ed un po’ di tutto), Jonathan Hartley (chitarra e tastiere), Brian Campbell (basso) e Carl Turney (batteria) incantano i presenti con pezzi dagli arrangiamenti estremamente curati, che anche quando non sembrano indirizzarsi verso alcuna direzione (vedi
The Witch, specialmente nella parte centrale) suonano estremamente dettagliate ed intense da coinvolgere pienamente nell’ascolto tutti i presenti.Elargiscono intensità e nervosismo nella spasmodica Corpus Christi, dove le mascelle serrate di Ade sembrano frantumarsi digrignandosi sempre più con l’incedere del pezzo. L’alternarsi di pezzi forti e
lenti continua ed è veramente difficile inquadrare i riferimenti di un gruppo del genere, che tratta alla stessa maniera furia garage, frammenti psichedelici, e derive post-punk senza risentirne minimamente. La fragile Distortions
viene sorretta da una impalcatura di mormorante tastiera elettrica che illumina da una angolazione diversa la voce di Ade, finalmente libera dalle nevrosi e dalle distorsioni quotidiane. Il volume veramente esagerato della chitarra di Hartley rimbomba invece in The Bridge, accompagnata da un arpeggio western degno di un duello all’ultimo
sangue in un film di Leone (chissà se piacerebbero a Morricone…); e si va avanti così tra un pezzo lento (vedi la inquietante Harmony) ad uno più spinto (applausi scroscianti per Walking With Thee) fino alla conclusione di Coda dove la chitarra ormai bistrattata di Hartley arriva alquanto scordata all’appuntamento, e regala le emozioni più intense alle scampanate finali degne di una festa di paese in un tramonto azzurro di fine primavera.

Il bis, richiesto anche personalmente al gruppo in camerino da uno disinibito spettatore, include Evil Bill,
che con la sua armonica introduttiva (marchio di fabbrica del gruppo) esalta l’Init intero. I Clinic si congedano da Roma senza la
richiestissima Porno, ma l’arrivo del Genio domani al Circolo potrebbe soddisfare la richiesta per palati meno sopraffini. In bocca a noi, specie a causa della finale Evil Bill, ci resta invece il sapore della polvere del deserto, che nonostante la provenienza liverpoodliana del gruppo, ci fa associare i Clinic a pistoleri western del garage elettrico. Novelli Armonica che sanno suonare, ma anche sparare.

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