Giovane polistrumentista siracusano, Barbagallo, avvalendosi del poderoso contributo di certa intelligencija rockettara operante tra le due sponde dello Stretto, ha deliziato l’underground musicale italiano con un piccolo quanto fondamentale monumento artistico. Un inconsueto processo di fusione che rileva appieno le sue doti e che attinge dai più disparati territori artistici: musica psichedelica anzitutto, progressive, folk, elettronica, musica concreta, il tutto fuso in un caos razionale ed ordinato, quasi metodico. Apre l’album A Place Called Home, una nenia intrisa di elettronica e psichedelia dove le chitarre e il suono dimesso di un organo creano atmosfere pacate e distese, atte a sospingere una voce dondolante. Segue Wake me Up!, una filastrocca dai sentori noir, tanto grottesca quanto disperata, coronata dal suono sinistro di una campana e dai frammenti di un pianoforte. Si prosegue con Mediocre, un denso trambusto di manipolazioni digitali, rumori concreti e di strumenti stonati. Maledettamente dadaista! Reject (No Reaction Time) è una suite di cinque minuti anch’essa costellata da sentori noir e grotteschi, a tratti inquietanti, guidata dal sali-scendi di una voce umile e addolorata alla Robert Wyatt, interrotta sul finire da divagazioni di elettronica post-industriale. Si passa poi per Holiday/H.L., pezzo dal piglio rumorista stuprato da repentini cambi di tempo di matrice progressive e da una clôture surreale. Seguono le dissonanze ossessive di Tx313. La fantasia spericolata di Barbagallo si concentra negli eccessi di questi pezzi, pezzi che rappresentano per certi versi il lato oscuro dell’album che, di qui in avanti, si dilegua verso altri canoni stilistici. Così ci imbattiamo nel delicato folk-rock digitale di Show e nelle ritmiche sofisticate e sincopate di Simon Templar. La follia ritmica raggiunge il suo apice con la martellante Great Sun. Qui Barbagallo si abbandona ad un groove docile e rumoroso allo stesso tempo che si lascia inghiottire dai suoni elettronici. Clouds Behind the Moon si veste invece di un primitivismo jazz, arrangiato con una gag etnica, quasi tribale. Town Calls conserva la pulizia di un rock domestico e collegiale che si inabissa in un pantano di lievi eufonie vocali e riff dissonanti. Segue White, una sorta di mantra elettro-acustico che volge dalle parti di un blues dai toni decadenti ed annoiati e dai sentori raga. The Crowd è all’insegna del funereo. Lo spettrale cantato di Barbagallo riecheggia in un viaggio paranoico fatto di rumori e droni magniloquenti. I suoni sbilenchi e free di Ercoidem chiudono degnamente Quarter Century. Un album caratterizzato da impulsi creativi di disarmante attualità che sicuramente inciderà non poco sulle generazioni future di musicisti italiani e, ci auguriamo e gli auguriamo, non solo.
Label: 42 Records
Anno: 2011
Track list:
01. A Place Called Home
02. Wake me Up!
03. Mediocre
04. Reject (No Reaction Time)
05. Holiday/H.L.
06. Tx313
07. Show
08. Simon Templar
09. Great Sun
10. Clouds Behind the Moon
11. Town Calls
12. White
13. The Crowd
14. Ercoidem
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