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apr 22

Sonatin for a jazz funeral

Sonatin for a jazz funeral

Trovarci d’impatto con i Sonatin for a jazz funeral davanti al locale dove devono suonare e riconoscerli subito. Aiutarli a trovare un parcheggio volante per scaricare la loro strumentazione tra i vicoli di Trastevere ed iniziare a scambiarci due chiacchiere. Ecco alcune conoscenze in comune, ecco un paio di birre ed ecco un po’ di spettatori. Poi osservarli suonare durante la serata e spunta fuori l’idea di un’intervista:

  • Quando e come nasce il progetto Sonatin for a jazz funeral?

Il progetto nasce solo in parte, a pezzi. Luigi e Maurizio hanno sempre suonato insieme, poi nel 2008 si unisce Martino e al basso, al tempo c’era un altro ragazzo ( un nostro caro amico). Solo nel settembre del 2010 entra in formazione Pierluigi per una fortunata coincidenza di abbandoni con altri progetti. Per quanto mi riguarda il vero progetto Sonatin ancora deve mettersi al mondo come si deve, a livello di sound. Il resto per fortuna è finalmente arrivato.

  • Il live all’Aut Aut è stato molto interessante. Mi ha colpito la parte vocale di Luigi che in Erostratus sembra ricalcare le orme di Eddie Vedder.

La vocalità di Eddie Vedder nei Pearl Jam e nei suoi  lavori solisti, rappresentano uno dei molteplici punti di riferimento in quella che è una ricerca vocale in continuo divenire. Da Buckley padre e figlio, passando per il primissimo Alan Sorrenti, fino al peculiare lirismo di Antony Hegarty e Baby Dee, e il fluido e accattivante cantato di Michael Stipe.

  • Ho notato dalla vostra esibizione che siete molto trasversali. A volte post-rock, a tratti la chitarra vira sul noise pop, linee di basso molto funk e brani che echeggiano atmosfere post punk. Come fate a conciliare tutte queste tendenze?

Fa tutto parte di una ricerca che coinvolge direttamente noi quattro come singoli prima ancora che come partecipanti al progetto Sonatin. Ognuno di noi sta cercando di sviluppare uno stile più maturo (tranne Pierluigi che fa pesare la sua carriera decennale) e personale e quello che proponiamo ora sono tentativi. Fortunatamente riponiamo una grossa attenzione al songwriting cercando lì di quadrare il cerchio delle numerose influenze che non vogliamo sintetizzare in uno stile univoco, almeno per ora.

  • Avete già prodotto qualcosa o state sul punto di farlo?

Abbiamo registrato un ep agli studi Monocrome di Eboli sotto la supervisione artistica di Luigi Nobile del quale abbiamo resi pubblici due brani (che trovate sul nostro myspace) ma che intendiamo pubblicare se e quando troveremo un’etichetta che riteniamo faccia una proposta valida. Probabilmente a giugno ritorneremo in studio per registrare altri brani.

  • La vostra attività live sembra molto intensa. Più che band da studio sembrate band da asfalto.

Questa esigenza nasce dalla necessità di auto-finanziare il lavoro, oltre che dal piacere di suonare dal vivo. Inoltre la dimensione live è un banco di prova per tutto quello che produci: se dal vivo non funziona manca qualcosa e allora devi tornare in sala a modificarla, e così via. Da un lato la dimensione live serve a quadrare quella compositiva facendoti capire cosa vuoi “dire” davanti alle persone e dall’altro è un aspetto a sé stante del “mestiere” che stiamo esplorando da qualche mese con una serie serratissima di esibizioni. In fin dei conti il live è il momento più intimo di una band, quello nel quale ci si può esporre maggiormente: è irrinunciabile.

  • Vista la vostra esperienza live mi preme una domanda. Che vuol dire suonare in Italia e girare il Paese per locali nel 2011?

Vuol dire andare incontro a tante fregature, a tante persone diverse, capire come si muovono le cose, esaltarsi e deprimersi, divertirsi, fare esperienza e, anche abbastanza spesso, avere a che fare con persone meravigliose che vivono di musica quotidianamente e che possono aprirti nuovi mondi.

Ecco che significa suonare in Italia nel 2011, e capire che la musica forse è come la vita. Per alcuni anzi, è la vita. Esaltarsi, deprimersi, divertirsi, andare incontro a tante fregature, non sono altro che stati d’animo universali. E che i gruppi iniziano a conoscere bene, facendosi le ossa per strada. C’è chi molla subito, pensando di non farcela. E c’è invece chi resiste a va avanti, mangiandosi l’asfalto solo per il piacere di suonare, esaltarsi, deprimersi, divertirsi ed andare incontro a tante fregature. Od avere a che fare con persone meravigliose che possono aprirti nuovi mondi.

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