Erano all’incirca le 19.00 di sera di un torrido maggio spagnolo, quando mi stavo dirigendo verso uno dei tanti palchi di cui si compone il Primavera Sound di Barcellona. Arrivato prevedibilmente tardi, in fuga da me stesso e con una irrefrenabile voglia di ascoltare qualcosa di buono, mi abbandono ai Low, prima di allora mai visti, né sentiti. Nella discesa di fronte a me una marea di gente ad osservare Alan Sparhawk, Mimi Parker e Steve Garrington ripetere sempre gli stessi tre accordi, con Alan che ad ogni cambio diceva sempre le stesse tre parole. Il tutto per una decina di minuti, trascinando il pubblico con forza verso un’altra dimensione, lontana da quel luogo reale e tangibile. Restato letteralmente a bocca aperta, sono rientrato in Italia con l’unico scopo di trovare immediatamente quella canzone, ma nonostante l’assiduo impegno iniziale, la mia proverbiale indolenza e la consueta dabbenaggine finirono per avere la meglio. Perché se avessi cercato meglio e con più intelligenza l’avrei trovata nell’album che stavano proponendo a Barcellona: C’mon, uscito per la Sub Pop l’anno scorso è infatti l’ultima prova dei tre del Minnesota, terra fredda per definizione, ma che da anni i Low scaldano con il loro slowcore e con Nothing but heart. Ed infatti eccolo qui il pezzo, dall’avvio affilato e poi sussurrato, piano piano, per un tempo infinito, con un crescendo di cui non ti accorgi se non quando ti muore in mano. Roba che non cancellerò mai dalla mia memoria. C’mon naturalmente non contiene solo questa gemma preziosa, ma è un abbraccio avvolgente che ti accoglie e ti fa calore con i suoi tempi onirici dilatati ed un’architettura di arrangiamenti minimali. Dal disco molto più sinfonico e celestiale che dal vivo. Merito della luce che promana dai tre, o magari della registrazione al Sacred Heart Studio (il cuore ritorna ancora) di Duluth, vecchia chiesa cittadina in cui registrarono anche Trust nel 2002. Il singolo Try to sleep sta lì a dimostrazione di come, proprio a causa dei requisiti di genere di cui prima, ci vuole del talento per non scendere nella banalità e mantenere alta la concentrazione. Permangono evidenti e suadenti incrostazioni liriche à la Nick Cave, soprattutto quando You See Everything e, soprattutto, Witches, sembrano ripercorrere à rebours il percorso di No More Shall We Part. Le partecipazioni di Nels Cline alla lap steel guitar, di Caitlin Moe della Trans-Siberian Orchestra al violino e di Dave Carrol dei Trumpled by Turtles contribuiscono ad impreziosire ancora di più un lavoro che gioca sull’alternanza tra la voce di Alan e quella della Parker (memorabile l’episodio di Especially Me), quando non le fonde all’unisono in alcune parti corali magistrali di Majesty/Magic. Un disco prezioso, da regalare alla persona che si ama o che hai amato; che scioglie non solo la neve di questo freddo inverno, ma addirittura le montagne dell’Himalaya, fino a renderle piatte come il Tavoliere di Puglia.
Label: Sub Pop
Anno: 2011
Tracklist
1. Try to Sleep
2. You See Everything
3. Witches
4. Done
5. Especially Me
6. $20
7. Majesty/Magic
8. Nightingale
9. Nothing But Heart”
10. Something’s Turning Over
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