Cos’é un live report? É, dal mio punto di vista, il racconto emozionale e soggettivo di un concerto. Il cercare di descrivere le emozioni, le vibrazioni, i colori di tutto ciò che é il live e ruota attorno al live. Spesso quindi non é tanto un giudizio sulla band, che quasi mai arriva, é se accade é spesso in ultima istanza, ma quanto un corollario di aneddoti e sensazioni, positive e negative, che possono partire anche molto lontano dal palco, sia in senso temporale che fisico.
Questa volta però bisogna fare un’eccezione, bisogna partire dalla fine del report, bisogna partire, mi prendo la responsabilità di dirlo, da un fatto acclarato ed oggettivo: gli Aedi dal vivo spaccano.
Spaccano perché calamitano l’attenzione senza strafare, stupiscono ma senza bisogno di eccessi scenici, perché riescono a mischiare la dolcezza all’attitudine punk, la tecnica alla cacofonia controllata, melodie eteree a ritmi sanguigni.
Il live degli Aedi si districa infatti fra giochi di contrasti sonori, fra luci e ombre, emozioni calde e fredde.
Inizia con ironia, con il buonasera di Celeste Carboni verso il pubblico mandato in loop, ridondante, talmente antipatico da straniare prima e strappare i primi sorrisi poi. Ma é un lampo, perché subito i toni scendono in un atmosfera più seria e scura con l’introduzione di una melodia vocale, sempre di Celeste, alla quale si aggiungono prima la chitarra di Claudio Innamorati, alla sinistra del palco, e via via gli altri strumenti, in un crescendo costante e distorto, cambiando ritmo, fino a groovvare tantissimo il pezzo.
Non c’é stacco nel passaggio al secondo brano ed é una caratteristica del live degli Aedi: il mood complessivo é caratterizzato più dal sali e scendi di dinamiche musicali esasperate all’interno delle canzoni che dagli stacchi tra queste durante la scaletta. Dinamiche che si popolano di una variegata scelta di ritmi rallentati, pianissimi, fortissimi, allegrissimi, sussurri, noise e percussioni.
Alla prima pausa, dopo uno spiritoso sketch della band, le mani del pubblico sono già frizzanti e applaudono convintissime.
Si riscende di nuovo, con un brano etereo, interpretato quasi teatralmente da Celeste, per poi risalire e scendere ancora, nelle montagne russe degli Aedi, fino ad pezzo che ricorda gli ombrosi blues/jazz di Tom Waits ma eseguiti con un’intenzione insolitamente luminosa. Altra pausa. Tanta roba. Tanti applausi.
Non é un caso se dei brani non riporto il titolo: sono tutti inediti. Dopo questo concerto infatti la band marchigiana li registrerà nel nuovo album. Solo tre quelli eseguiti dell’ ultimo disco, Aedi Met Heidi: Black keys, Geometric Plane ed Heidi. Proprio quest’ultimo é uno dei momenti clou dell’esibizione: spunta un clarinetto fra le mani di Celeste, che si alterna agli intermezzi di larsen e feedback durante i quali Paolo Ticà’, a destra sul palco, distribuisce al pubblico sonagli e percussioni varie, lanciando Heidi fra sonorita tirolesi e balli tarantelliani.
Gli ultimi tre pezzi del concerto spaziano fra il progressive, con organi e loop alla voce, improvvisate deliranti alle tastiere, finali spaziosi ed epici alla Arcade Fire, Sigur Ros, e ritorni su fumose atmosfere blues.
Gli Aedi sembrano un torrente scandinavo, sinuoso e docile ma con piene imprevedibili ed improvvise.
La compostezza di Claudio nel suonare la chitarra e l’accademicità di Celeste alle tastiere ed all’uso di voce e microfono, si mescolano bene con la teatralità spontanea della stessa Celeste e la guasconeria di Paolo e Jones Piu al basso, che abbandonano spesso le 6 corde per indossare maschere e picchiare tamburi. Chiude il cerchio Daniele Gatto alla batteria e seconda voce, sempre preciso, ma molto scenico.
Accademici e disordinati. Giocosi, intimi, colorati a volte silenziosi. Si definiscono così, e ci prendono in pieno. Conducono con padronanza il concerto sia sù che giù dal palco.
Scomodo proprio il titolo di un disco del Luciano nazionale perché é a Correggio il palco dove si sono esibiti gli Aedi, sabato scorso 28 Gen. Precisamente a Fosdondo di Correggio: Il palco de “I vizi del Pellicano”. Nel vecchio casale padronale ristrutturato l’attenzione per la parte live della serata é massima. La sala concerti é al centro della struttura e le band vengono attentamente seguite, grazie all’addetto luci, anche dal punto visivo oltre che audio, aspetto che spesso viene trascurato in locali anche più blasonati. La buona birra artigianale e la sensazione di libertà, derivata dall’impressione di essere isolati e lontani da occhi vigili, fanno il resto.
In questi giorni per raggiungerlo, oltre ad un certo quantitativo di anacronistiche e strettissime stradine provinciali, che vi porteranno continuamente a dubitare del vostro aggiornatissimo navigatore, dovete superare anche nebbie, neve e scosse telluriche. Ma ne vale la pena. Se é per vedere gli Aedi ancora di più.
Scaletta:
The sound of death
Idea
Phon I
Phon II
Sole
Rabbit on the road
Liars
Black keys
Geometric Plane
Heidi
Prayer of wind
Animale
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