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mag 01

The Futureheads – The Chaos

Confessiamo di avere un debole per i Futureheads. Di averli visti ogni volta che hanno messo piede a Roma, dalla data del 2007 con i Turnpike Glow (trasferitisi meritatamente in Inghilterra da un paio di anni) a quella di qualche anno dopo con Shadow Line e Matineè. Di aver amato ciecamente il primo omonimo lavoro del 2004, una gemma inarrivabile della produzione d’oltremanica di quegli anni, capca di sorprenderti ad ogni angolo. E di aver anche apprezzato i successivi, News and Tributes e This Is Not The World. Anche se bisogna ammetterlo, in maniera minore. Per cui alla notizia dell’uscita di The Chaos ci avviciniamo con una certa curiosità al nuovo lavoro di Barry Hyde (voce e chitarre), Ross Millard (chitarra e voce), David Craig (basso) e Dave Hyde (batteria). Certo, un sacco di cose sono cambiate dal lontano 2004: a cominciare dal batterista, non più Peter Brewis. Ed a seguire con l’etichetta, non più la 679 dei primi due dischi, ma la auto creata Nul Records.
Ciò che non è cambiato invece è la voglia dei Futureheads di continuare nella loro ricerca musicale tenendo ferme alcune delle costanti che sono emerse nei primi lavori. Innanzitutto l’ambito di lavoro, sempre connotato dalle coordinate geografiche dell’indie rock come annuncia anche la stessa traccia di apertura The Chaos, oppure la melodica Hertbeat Song. Il brit rock colpisce ancora. Poi l’irresistibile regola dell’attrazione verso il post punk di fine anni’70. Per fare un nome i Gang of Four di Andy Gill, che non ha caso ha prodotto il primo album. L’ascolto della successiva Struck Dumb può dare maggiori indicazioni al riguardo. In più i quattro aggiungono una venerazione per arresti repentini e ripartenze veloci, marchio di fabbrica del gruppo registrato presso l’Ufficio marchi e brevetti della Camera di Commercio di Sunderland. Il prodotto di punta è Stop The Noise, e sembra di essere tornati ai tempi di Decent Days and Nights, per cambi sonori azzeccati ed originalità di soluzioni. I Futureheads amano spiazzarti, godono nel farti un dribbling, od un doppio passo che capisci solo quando sono già andati in porta a segnare. Poi dopo il goal urlano The Connector tra lo sconcerto del pubblico avverso. Di certo non è roba da colpo di fulmine, perché prima di capire le strutture dei loro pezzi ci vuole un po’ di tempo, complice anche la velocità e le scale che amano salire improvvisamente. I Can Do That, ci sarebbe da rispondergli, sostenuti dal basso in maniera preponderante. I problemi arrivano verso la sera, quando l’oscurità inizia a pervadere l’anima: Sun Goes Down and the double life begins: uno dei pezzi migliori di The Chaos, per potenza e precisione di suoni, oltre all’ottimo arrangiamento. Incluso il delirio finale, che ci può stare benissimo. Meno azzeccata è sicuramente This Is The Life: spiazzare troppo a volte fa male, e si rischia di fare la foca come il fu Denilson bello da vedere ma assolutamente in concreto. Un po’ di stanchezza verso la fine, The Baron arriva esausto a fine gara, mentre Dart The Map si affida alle due chitarre per provare ancora qualche colpo d’effetto. Solo alla fine Jupiter si lascia andare ad un po’ di nostalgia per i tempi che furono.
Alla fine della partita la pagella per i Futureheads è più che sufficiente, Sono veramente lontani i tempi di Area e di A to B, e soprattutto sono lontani i tempi della British Renaissance di metà decennio. Nel 2010 le gerarchie in classifica sono cambiate, ma i ragazzi di Sunderland si difendono bene e continuano a regalare giocate imprevedibili ai loro affezionati spettatori.

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