Qualcuno si starà chiedendo: “Ma possibile che questo qui va sempre a vedere concerti di gruppi stranieri, generalmente inglesi ed americani? Ma qualcosa di autoctono, niente?”. Eccovi subito accontentati, stasera al Circolo degli Artisti si presentano i Julie’s Haircut, band italianissima, emiliani di Sassuolo, provincia di Modena, pronti a presentare il loro ultimo lavoro, After Dark, My Sweet, ed inoltre, a manifestare una serata totalmente tricolore, all’insegna di spaghetti, pizza e mandolino (o chitarra elettrica, come sarebbe più consono), ecco a voi il gruppo spalla, i Northpole, provenienti dal Veneto.
Ma prima di tutto il luogo! Lasciatemi spendere due parole per questo locale all’inizio di Via Casilina (praticamente sotto casa), sede di innumerevoli concerti, che riesce sempre a sorprenderci per gusti musicali. Il Circolo degli Artisti è effettivamente il luogo che presenta il maggior numero di band rock qui a Roma, straniere ed italiane; nonostante sia effettivamente un po’ piccolo riesce a colmare questo non indifferente svantaggio con una perfetta organizzazione, oltre a degli ottimi gusti musicali, che spaziano su ogni genere musicale, ma con una particolare predilezione per l’indie…inoltre al banco potrete trovare sempre la Elephant, una delle mie birre preferite…
Appena arrivati ci si intrufola subito dentro per scappare ad un vento fastidioso che tocca le ossa di noi poveri diavoli in questa serata non tipicamente primaverile, e, come si sa, le mezze stagioni sono finite da un pezzo…dentro il concerto inizia subito, sul palco ecco i Northpole, quartetto composto da Paolo Beraldo (voce e chitarra), Alessandro Ceron (chitarre), Federica Colella (basso) ed Erica Piol (batteria), intento nella presentazione del loro album di debutto, l’omonimo Northpole. Intendiamoci, non sono giovani in cerca di gloria, hanno alle spalle una decina di anni di attività nell’underground settentrionale, che comprendono diversi lavori, la maggior parte in inglese, tra i quali un tributo ai mitici Smiths, ed un paio di lavori che avevano attirato l’attenzione del famoso e compianto John Peel, dj inglese famoso per le sue trasmissioni radiofoniche. Le sensazioni sono nettamente melodiche, la voce del cantante svetta su tutti gli altri strumenti, fino a quando un muro sonoro si innalza per completare l’opera. Le canzoni fanno un po’ la spola tra il pop cantautorato di solida tradizione italica, e l’indie-rock, specie in considerazione del ruolo delle chitarre in quasi tutti i pezzi presentati, senza dimenticare richiami agli Smiths, il tutto rigorosamente in lingua tricolore…ci si immerge insomma in un atmosfera torbida, apparentemente calma, ma pronta ad alzare il ritmo per colpire più forte.
La pausa ci fa respirare un po’ di aria fresca fuori, e nel frattempo il locale inizia a riempirsi, anche noi veniamo raggiunti da altri amici, si crea un bel gruppetto e quando si rientra, si materializzano i Julie’s Haircut: a proposito, dopo il concerto sono ufficialmente un loro fan! Nicola Califfi (chitarre, voci), Luca Giovanardi (chitarre, tastiere, basso, voci), Roberto Morselli ( batteria, percussioni), Andrea Scarfone (chitarre, basso), Laura Storchi, (basso, tastiere, voci) ed infine il Rev. (credo stia per reverendo…?) Fabio Vecchi (rhodes, organo, synth, campioni, fiati), partono a razzo, presentando il loro ultimo lavoro, After Dark My Sweet, un concentrato indie rock e psichedelia noise che attualmente non ha eguali altrove. Intendo dire nel mondo. Il sestetto si affanna sugli innumerevoli strumenti presenti sul palco con l’intento di fornirci una prestazione che va al di là dello straordinario e colpiscono immediatamente nel segno con Sister Pneumonia, intro strumentale e psichedelico, intento a fornirci la colorata via maestra per indirizzare al meglio la nostra serata. Rimasti inebetiti per un quarto d’ora e vi assicuro che non era la seconda Elephant di seguito, la destrezza dei Julie’s Haircut ci spiazza completamente: se ne era già parlato bene, ma non immaginavo fino a questo punto. Il frastuono noise che dominava la scena sembra qualcosa di incontrollabile e martella il suono affidandosi al synth, per poi dissolversi con improvvisazioni che ricordano molto Sonic Youth, Pavement e compagnia “frastornante”, il tutto suonato non come mera copia e incolla, ma con notevole classe e padronanza di mezzi…Il concerto continua con rimandi espliciti ai Can più sognanti e l’alternarsi dei componenti del gruppo ai vari strumenti, tra brani strumentali come Satan eats Seitan, il cui incedere marziale strazia l’anima come una lama seghettata ed arrugginita, episodi con un sapiente utilizzo dei synth con Death Machine, meravigliosa passeggiata lunare, buia ed ondulata, sotto un muro di stelle pulsanti, mero riflesso del suono che rimbomba su esse. Liv Ullman esprime invece in maniera perfetta il titolo del disco: ambientazione dark ed arpeggi dolci come nettare degli dei.
La perla della serata è senz’altro Purple Jewel, dove la voce di Laura viene filtrata dal microfono, mentre il ritmo cadenzato e psichedelico raggiunge un karma psichedelico, squarciato alla fine da un urlo liberatorio…sbigottimento totale! L’intensità della loro performance non si ferma, non ha un momento di pausa e stordisce completamente l’ambiente circostante, mi guardo in giro e vedo tracce e facce di persone completamente assorte nella musica…
La naturale conclusione di tutto questo è l’acquisto del disco, corredato dalle firme degli autori di questa serata così divertente, con le quali si riesce anche a scambiare due chiacchiere sulla vivace realtà emiliana, musicale e non…All’uscita il banchetto propone i loro lavori precedenti il precedente Adult Situations (2003), Stars never looked so bright (2001) e Fever in the funk house (1999), di cui prometto di approfondire quanto prima possibile la conoscenza…In questi tempi bui, in cui la musica italiana è stata così a lungo dileggiata ed offesa da promesse mancate e veloci cambi di rotta di presunti musicisti che hanno illuso il pubblico per poi dimostrarsi nient’altro che macchine per fare soldi, la presenza dei Julie’s Haircut tranquillizza e dimostra, ove ce ne sia bisogno, che vi stanno ancora persone che credono in ciò che fanno, nella musica e nella sua forma di arte indiscussa. Magari tra mille difficoltà, senza il folto pubblico che meriterebbero realmente e senza guadagni stratosferici, ma con la convinzione di regalare momenti indimenticabili e la piacevole sorpresa di chi va a vederli qualche sera di un marzo pazzerello…
mag 02
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