«

»

mag 02

Lou Reed @ Auditorium

Lou Reed

Qualsiasi persona che si intende un briciolo di questa strana, dolce e complicata materia che è diventata la musica non può non aver incontrato, in qualche momento della sua vita una canzone, una melodia, una nota, un tono di voce ed infine, ma molto a malincuore purtroppo devo dirlo, una pubblicità che hanno a che fare con Lou Reed. Qualsiasi essere umano, chi più, chi meno, resta affascinato dalle creazioni di questa icona vivente del rock a stelle e strisce, e resta invischiato in eterno in quei suoni ed in quelle atmosfere che rievocano la New York del passato, della fine degli anni’60, quando, iniziarono a fiorire un po’ dappertutto le prime band musicali nel Nuovo Continente, e forse, se non prima tra queste, ma superiore per importanza a tutte le altre, proprio nella Grande Mela ecco comparire come per incanto quel fenomeno inspiegabile che va sotto il nome di Velvet Underground. Capitanati da Lou Reed, composti da personaggi come John Cale, affiancati da divinità storiche, un pò muse ispiratrici, un po’ femme fatale, come Nico, eccoli partire alla conquista musicale prima dell’America, e poi del mondo intero, mietendo vittime illustri come Andy Warhol, l’inventore della pop art, che piegherà i suoi servigi alla monumentale opera del primo disco, con il disegno della copertina del primo disco, The Velvet Underground & Nico, la famosa banana da sbucciare su sfondo bianco, come se fosse il disco stesso a dover essere sbucciato, astratto dal suo elemento materiale per confondersi con la fantasia e la mente umana, che forse non aveva mai raggiunto quei livelli così underground, appunto, e forse mai li raggiungerà…Chi non ha mai sentito Sunday Morning, Sweet Jane, Who Loves the Sun ma anche pezzi diciamo più forti, con un significato diretto e senza nascondersi dietro eufemismi, come Heroin, Waiting for the Man, Venus in Furs? Chi non ha mai avuto voglia di camminare sul lato selvaggio della vita (Walk on the Wild Side), o di cantare sulle note del famosissimo film di Danny Boyle, Trainspotting “Just a Perfect Day”? E questo il secondo Lou Reed, quello più intimista, quello glam, influenzato dalle collaborazioni con un altro mostro sacro della musica come David Bowie, forse anche quello più commerciale, ma chi se ne frega quando poi ci fanno 600 remix su Satellite of Love, basta andare a prendere Transformer e risentirla così come mamma l’ha fatta per scoprire che possono fare le più svariate versioni da discoteca, ma l’originale sta 50 miliardi anni luce più avanti! Quindi, prepariamoci ad affrontare la Storia, con il dovuto rispetto, ma senza concedergli nulla…
Il concerto si terrà all’Auditorium di Roma, un luogo ideato e creato da Renzo Piano, il più famoso architetto italiano al mondo, e devo dire che il colpo d’occhio è notevole, struttura fantascientifica, parcheggi interni ed esterni, libreria, bar, ristoranti etc..insomma tutta una serie di posti che ne fanno un complesso enorme, molto bello da vedere, specie per chi, come il sottoscritto è abituato a piccoli locali e club, dove non ci stanno commessi che ti accompagnano al tuo posto numerato,  anche se ci si adegua molto comodamente a queste nuove poltroncine! Il problema è semmai come ritrovare la macchina, dopo averla parcheggiata…I biglietti erano esauriti da tempo, li avevamo acquistati un mese prima, e la grandezza della sala non fa altro che aumentare le proporzioni dell’evento che stiamo andando ad assistere. Previsione inizio concerto: ore 21; inizio concerto: ore 21.30! Per me è record storico…Le luci si spengono mentre una voce soave, versione assistente di volo, dice:”Siete pregati di spegnere cellulari e ricordiamo che è vietato scattare foto…”, si, come no…Ed ecco che entra la Storia! E’proprio lui, con quelle scarpettine chiare, i pantaloni di pelle neri ed una magliettina striminzita che lo fa tornare indietro nel tempo: i suoi collaboratori sono più in sintonia con il ventunesimo secolo, Mike Rahtke (chitarra), Fernando Saunders (basso), Tony Smith (batteria) e lo straordinario controbassista Rob Wasserman. Le previsione della vigilia davano un concerto dai toni sommessi, con totale assenza delle grandi hit storiche, e ciò in sintonia con il pensiero dell’artista, contrario ad essere visto come un pezzo da museo od un capitolo di storia: ciò aveva causato le preoccupazioni di diverse persone, ma io ero abbastanza tranquillo, avevo una totale fiducia in ciò che il caro Lou poteva fare…inoltre interpretavo la serata come una possibilità per conoscere meglio la sterminata produzione dell’ex Velvet Underground!
Si parte subito con Paranoia Key of E, e si capisce immediatamente che avrà una grande prevalenza l’ambientazione jazz del concerto, dove una parte preponderante spetta al controbasso elettrico, molto curioso e suonato in maniera magistrale. Si passa successivamente a Sword of Damocles, dove i toni salgono un po’, e dove viene lasciato spazio all’improvvisazioni di Reed, che inizierà anche a sfurieggiare con più frequenza la sua chitarra, abbandonando a volte il contesto soft dell’impostazione del concerto. Si arriva quindi alla terza traccia, forse la migliore, senz’altro la mia preferita della serata, The Day John Kennedy Died, dove il ritmo continuo ed incalzante della chitarra incanta il pubblico, come un suonatore di flauro fa con il suo serpente a sonagli: Lou cerca spesso il contatto con il pubblico ed il suo coinvolgimento. Il concerto prosegue quindi con la soddisfazione degli spettatori, incuriositi da queste canzoni conosciute (avevo vinto la mia scommessa), alternando pezzi più rock e rumorosi (Gassed and Stoked) a brani più intimisti e giocati su un più morbido contesto jazz, come nel caso di Tell It To Your Heart…insomma, non era il caso di aspettarsi la simulazione di un “buco” sul palco durante le note di Heroin, come accadeva di frequente negli anni ’60, ma quelli erano altri tempi; qui sicuramente il caro Ministro Gianfranco Fini avrebbe immediatamente sospeso lo spettacolo anche il nostro Lou avesse simulato il rollaggio di una canna…Invece compare un grazioso cinesino tutto vestito in rosso, tale signor Ren Guangyi, meglio noto come il maestro di tai chi dell’artista, che egli ha voluto sul palco con sé per dimostrare la bellezza di tale arte e la sua affiliazione alla musica rock: e così, mentre Lou arpeggia la sua chitarra, Ren balla o medita…Non so…avrei preferito il “buco”sul palco…
Si passa quindi ad altre canzoni meno conosciute, come Why Do You Talk e My Red Joystick, mentre inizia a notarsi la bravura del controbassista Wasserman, impegnato in un paio di assoli entusiasmanti che strappano urla di approvazione allo stesso Reed, mentre il bassista Fernando Saunders dimostra notevoli proprietà canore, suscitando, tra le risate e gli applausi del pubblico un siparietto dello stesso Lou…il tutto per finire con Who Am I?, forse la parte più debole del concerto, quella finale, ma comunque ci si alza in piedi per tributare il giusto applauso ed il giusto riconoscimento per quei 45 ( e lo riscrivo a lettere: quarantacinque) anni di musica rock, che camminano, camminano verso il camerino, cammineranno domani su altri palchi, cammineranno in eterno sul lato selvaggio della nostra anima…ma per il momento camminano per ritornare sul palco, perché il Rock pretende di essere rispettato, e la necessaria conclusione è naturalmente il bis…Mentre da tutto l’Auditorium le persone si alzano per affollarsi spontaneamente sotto il palco, come dovrebbe essere per ogni concerto Rock, tra gli occhi increduli e stupiti dei commessi, magari abituati a Morricone, Muti e signore in pellicce di volpe, Lou inizia a suonare le note della splendida Sweet Jane, ed la memoria ritorna indietro a quegli anni in cui il mondo era visto come migliorabile, in cui il pacifismo non era una utopia irrealizzabile, ed in cui un ragazzo di New York City, appassionato di musica, insieme a tanti altri con lui e come lui iniziava a cantare “Standing on the corner, suitcase in my hand, Jack is in his corset, Jane is in her vest, and me, I’m in a rock’n’roll band…”

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato!

Puoi usare i seguenti tag HTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>