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mag 02

Mondo Generator @ Jailbreak

Mondo Generator

Mi prende un colpo quando lo leggo sul giornale.Viene a suonare a Roma Nick Oliveri ed i suoi Mondo Generator!Senza esitazione chiamo Dedom per dargli il preavviso di un giorno e sabato sera, per le 21.30 passo a prenderlo: direzione Jailbreak, un simpatico localino rock d’antan, situato sulla Tiburtina. Paghiamo 10 euro e ci sediamo davanti al palco, perchè quel mattacchione di Margiotta in un impeto di straordinario acume intellettivo, ha deciso di mandare una e-mail al locale con su scritto: “Pregasi riservare accesso area concerti.”!!! Ci danno un tavolo scambiandoci per due giornalisti, a tre metri dal palco, dove il pizzetto più lungo e famoso dello stoner rock ci delizierà stasera…
Aprono la scena i Doomraiser, che, come si può facilmente indovinare dal nome, si danno al metal più vio-lento che si può, esaltati per l’uscita del loro primo album. Si chiama Lords of Mercy e sembra ottimo materiale per i patiti del genere: non mi annovero tra questi ma noto di avere pericolosamente vicina la cassa alla sinistra del palco al massimo volume possibile.Temo per l’incolumità del mio timpano, specialmente quando arriverà sulla scena il mitico Nick.
Esco a prendere un po’ d’aria, tra un gruppo e l’altro, e me lo trovo davanti che posa per le foto di rito.Quanto diamine è alto! E pensare che quando vedevo le foto dei Kyuss, una delle formazioni più mirabili che abbiano mai poggiato i piedi su questo pianeta, me lo immaginavo diverso. I Kyuss, già: una cometa luminosa nel cielo plumbeo della decadenza del grunge, quando ancora non si sapeva bene che direzione prendere dopo Cobain e soci: questa stradina tortuosa ed infida che porta al gruppo californiano conduceva verso serata allucinogene nel mezzo del deserto con gli amplificatori a palla. E non è una metafora: Joshua Homme, John Garcia ed il nostro eroe di questa serata lo hanno fatto veramente! Nick ed il suo basso hanno furoreggiato nei Kyuss fin dal primo disco Wretch, ma anche nella pietra miliare dello stoner rock più psicadelico, vale a dire l’inimitabile Blues For The Red Sun, uno di quegli album che ti capitano una volta sola nelle mani e ti sconvolgono la vita. Dal primo ascolto di questa meraviglia posso dire di non essere più la stessa persona. Oliveri uscì subito dopo e poi la fine si ebbe la fine, con la cometa Kyuss che si frantumò a contatto con l’atmosfera e l’ego di Homme: fu fatto fuori anche John Garcia, la voce del deserto. Poi la nascita dei (o delle) Queens of The Stone Ages che sono stati il punto di riferimento musicale prescelto per gli orfani dello stoner rock. La seconda parte del sogno durò poco, giusto il tempo di rilasciare R e Songs For The Deaf, e poi la testa di Homme dà di nuovo di matto. Fuori Nick. Nonostante il “licenziamento” per la troppa furia agonistica subito da Joshua Homme, e la dipartita dai Queens of The Stone Age, Nick continua ad imperversare nel panorama musicale americano passando da un gruppo ad un altro come un ultras dalla mente devastata passa da uno stadio ad un altro in cerca di scontri. I nomi delle formazioni che lo hanno ospitato ormai non si contano più: Motorhead, Turbonegro, Mark Laneghan e perfino i The Dwarves. Gruppi, a quanto possiamo vedere, molto rilassati e tranquilli che hanno un solo scopo nella vita, del tutto simile alle seppie di Matrix: cercare e distruggere! Ma la sua formazione stabile, ormai, restano i Mondo Generator.
Eccoli salire sul palco Ian Taylor e Spud alle due chitarre e Hoss alla batteria. Nick prende subito posizione per allietarci della presentazione del nuovo album Dead Planet (Sonic Slow Motion Trails), uscito a settembre per la Mother Tongue Records e registrate indovinate dove?Allo studio di Dave Grohl, che ha sempre manifestato la sua stima ed il suo rispetto per il nostro sin da quando roteava le bacchette per Cobain e Novoselic a Seattle. Avvelenato come una iena si avvicina al povero microfono che inizia a sudare freddo quando lo vede: esce fuori una Shawnette, sbraitata come un ossesso. Here We Come suona come una filastrocca urlata da un punk in vena di ironia rabbiosa e 13th Floor già Tension Head nell’album R dei Queen of The Stone Age è monumentale. Le canzoni del nuovo album suonano potenti nel più perfetto stile stoner e ci si diletta anche nel rievocare i pezzi dei due album precedenti, dai nomi alquanto espliciti sulle intenzioni del nostro eroe: Cocaine Rodeo, del 2000, uscito per la Southern Lord Records, ed A Drug Problem That Never Existed del 2003 per la Ipecac. Più va avanti il concerto e più si capisce come i Queen of The Stone Age non erano basati solo sulla folle personalità di Homme, ma anche sulla furia selvaggia di Oliveri, che è dotato di una attitudine meno melodica e più propensa all’irriverenza del punk. Certo, non ha una bella voce, più che cantare si diletta nell’urlo, anche se non mancano episodi come una incredibile Autopilot, che tanti ricordi fa riemergere dal sottosuolo. Ci stanno alcuni momenti psicadelici, ma ben lontani dai fantasmi del gruppo di cui aveva fatto parte in passato. Si finisce invece con una Basket Case alla velocità della luce, ed il mio timpano resta alquanto provato da quest’ultimo exploit.
Il concerto finisce con Nick che salta addosso al pubblico e si lascia trasportare in alto come buona tradizione vuole, mentre io ringrazio il destino che mi ha fatto il regalo di vedere quell’articolo sul giornale, e mi ha dato modo di toccare con mano uno dei miei idoli indiscussi. I miei timpani invece non ringraziano proprio nessuno, e per i due giorni successivi resterò sordo alle richieste del mondo intero.

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