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mar 25

Esperanza, il limite è il cielo

Esperanza. Photo Carlo Alberto Riolo.

Incontro due terzi della band che pascolano allegramente fuori dal locale aspettando di salire sul palco; mi faccio tutto faccia di culo e propongo un’intervista post concerto, a cose fatte e tensione sotto i livelli di guardia. Gli Esperanza me la promettono, e dopo un mio piccolo “reminder” prima del bis di The Field, faccio appena in tempo a trovarmi un posticino nel fondo della sala che sta ancora ballando per Alex Willner quando mi sento picchiettare sulla schiena: mi volto e vedo Sergio (chitarra) e Matteo (basso, moog, percussioni) di Esperanza che mi sorridono e mi accompagnano fuori dal locale dove, sigarette in bocca, cominciamo l’intervista (di cui li ringrazio anche qui, sulla webzine). Insisto perché ci segua anche Giacomo – simpaticamente in imbarazzo – che accompagna la band dal vivo con la batteria. Più tardi, e altrove, saremo raggiunti da Carlo (synth, programming) terzo membro del trio dell’hinterland di Milano che lo scorso dicembre ha pubblicato il primo LP – Esperanza – per la Gomma Records di Monaco. Segue la cronaca di una lunga chiacchierata. Per il live report di The Field + Esperanza alla Locanda Atlantide del 23 marzo, seguite invece questo link.

 

  • Cominciamo dall’inizio: il vostro nome, Esperanza, da dove viene?

Matteo: Le cose sono andate così: tempo fa lavoravo ad una compilation nella quale era coinvolto anche Carlo – che avevo già avuto modo di conoscere ed apprezzare – e Sergio, che invece non conoscevo ancora. Il caso ha voluto che fossi io a doverlo contattare per dargli dei soldi che gli spettavano per questo lavoro. Ci siamo presi un caffè insieme, abbiamo cominciato a parlare (anche) di musica e poi ci siamo chiusi in casa dove, “inebriati”, abbiamo fantasticato su una donna che non esiste, Esperanza, protagonista di una storia che abbiamo inventato quel pomeriggio. Abbiamo concluso questa fanta-chiacchierata con una jam da 25 minuti e ci siamo trovati subito bene. Poi abbiamo contattato Carlo, amico comune, e abbiamo continuato a suonare dando spontaneamente vita al progetto. Esperanza simboleggia il nostro primo incontro che ha fatto scattare qualcosa ed è anche il “luogo” dove noi, con la musica, ci sentiamo a nostro agio.

  • In effetti ho notato il vostro affiatamento vedendovi suonare. E vi dico di più: dei brani che avete eseguito ne ho riconosciuti la metà, mentre l’altra metà sembravano effettivamente delle jam, dei pezzi più fluidi in qualche modo: volete parlarmene un po’?

Matteo: In effetti abbiamo presentato dei pezzi “un po’ nuovi” anche per noi. Abbiamo aperto con un remix di un brano di Banjo or Freakout – al secolo Alessio Natalizia – anche membro di Walls, nonché mio vecchio amico e compagno nei Discodrive, e dopo Ink abbiamo suonato un remix di un brano di Walls che uscirà a breve per la Kompakt. Infine abbiamo eseguito un pezzo nuovo su cui stiamo lavorando. Pensa che proprio durante il tour abbiamo capito – forse – come finirlo!

  • Immagino che facendo molte jam abbiate collezionato molto materiale nel tempo: come avete scelto cosa andava messo nell’LP e cosa invece doveva restare fuori?

Esperanza: Beh, l’etichetta ci ha imposto 40 minuti e noi, lavorando su quello che avevamo pronto e su cui ce la sentivamo di scommettere di più, e ascoltando anche qualche prezioso consiglio, abbiamo tirato fuori delle tracklist che poi abbiamo sfoltito fino ad arrivare a quella definitiva.

  • Cambiamo discorso: voi tre, coi vostri rispettivi strumenti principali – basso e chitarra da un lato e synth dall’altro – rappresentate un po’ i due archetipi del “fare musica” riuniti sullo stesso palco, insomma le corde vs. i tasti. Come vi trovate ad amalgamare le vostre diverse anime?

Sergio: In effetti Esperanza vuole essere per l’appunto la sintesi di più esperienze e si nutre di più generi. Certo, la gestazione di questo nostro primo disco – un anno e mezzo circa – dimostra quant’è difficile raggiungere una buona armonia quando si portano in campo strumenti elettrici tradizionali e synth e batterie programmate, specie quando si entra nella fase di produzione.  Nel disco credo che siamo riusciti a creare un buon equilibrio fra la parte acustica e quella sintetica; ognuno è riuscito a metterci tutto quello che aveva dentro, dalla techno, al kraut rock, alle influenze pop degli anni ottanta.

  • Devo dire che ascoltando il vostro live (e vedendovi suonare) ho finalmente raggiunto una percezione completa della band, dei vostri talenti oltre il lavoro in studio, e soprattutto la voglia di andare oltre il disco, e ne sono stato molto colpito, specie considerando lo scarto fra i momenti “meditativi” che ho amato nel disco e l’energia che avete sprigionato sul palco.

Carlo: E’ chiaro che in una situazione live gli equilibri possono e devono cambiare tenendo a mente l’idea di fare una “performance” e di fare presa sul pubblico. L’idea di base dietro Esperanza, e che poi è ciò che ci tiene insieme, è che ci piace suonare. Ognuno di noi è o ed è stato produttore (Disco Drive di Matteo, Cecile di Carlo e Hot Gossip di Sergio) o dj o curatore di mixtapes ma ora siamo in tour e teniamo in grande considerazione l’aspetto live di Esperanza.

  • Parlando di tour, ci sono artisti con cui vi siete trovati particolarmente bene, dal punto di vista musicale o anche semplicemente umano?

Matteo: Con Axel (The Field) l’aspetto umano e quello musicale vanno di pari passo. L’abbiamo conosciuto tre mesi fa circa, mentre eravamo in tour coi Walls; gli ho allungato la nostra demo e qualche tempo dopo lui ci ha proposto di accompagnarlo nel suo tour e da lì è nata una vera passione. Serata dopo serata, anche quando non dividiamo il palco, il semplice cazzeggiare insieme diventa una grande risorsa. Ci stiamo scambiando dei pezzi che remixeremo a vicenda… La bellezza sta proprio in questo, che con lui il feeling umano crea stimoli musicali e viceversa.

  • Se poteste esprimere un desiderio, con chi vi piacerebbe dividere il palco in questo preciso momento storico?

Matteo: L’impostazione che abbiamo pensato di darci nei live prende spunto senz’altro dai Caribou che è una band che ci ha veramente colpito. Ho anche un bell’aneddoto da raccontare che ti dice molto sull’umiltà di un personaggio come The Field che, di certo, ne ha messe di bandierine in giro. Ero con lui durante l’All Tomorrow’s Parties di New York e abbiamo sentito i Caribou suonare accompagnati sullo stesso palco da Four Tet, James Holden, Junior Boys e una piccola sezione di fiati (Caribou Vibration Ensamble). Lui era lì fermo che li fissava e mi dice: “prima mi stavi dicendo che io e la band siamo fighi… beh, questi sono fighi!”. In effetti suonare del pop – che poi è quello che di base fanno i Caribou – ma riuscendo contemporaneamente a far ballare migliaia di persone è veramente il massimo.

  • Parlando di influenze, band affini e l’aspetto sociale della musica, vi sentite parte di una scena? In molti stanno descrivendo la nascita di un movimento chill-wawe o glo-fi che ha bei rappresentanti in Italia, come i Casa del Mirto ad esempio. L’accostamento a queste realtà cosa vi fa provare?

Sergio: La cosiddetta scena chill-wave… non voglio dire che non esista o che sia solo un modo per creare delle etichette ma noi non ci sentiamo parte di una sorta di famiglia. Certo, ci sono le personalità che la popolano, e alcune di queste personalità come per esempio Walls fanno parte del nostro network, delle amicizie o delle persone che stimiamo, ma il nostro progetto è nato proprio per reagire all’ansia delle categorizzazioni. Venivamo ognuno da esperienze diverse e ci siamo conosciuti mentre attraversavamo tutti una sorta di momento di pausa, e l’idea fu quello di fare, noi tre, qualcosa di nuovo. Sono convinto che ascoltando il nostro disco si possano rintracciare degli elementi chill-wave ma c’è tanto di più – c’è il soul, c’è la techno e c’è l’elemento kraut-rock. Noi non vogliamo strizzare l’occhio ad un genere o ad una scena particolare, ci limitiamo a mischiare gli elementi che ci piacciono di più da tradizioni musicali che amiamo.

  • Per concludere: progetti per il futuro?

Esperanza: Innanzitutto c’è il tour con The Field, che in aprile continua al Bitte di Milano nell’Elita Festival il 20 e a Foligno il 21 al Serendipity. Dopodiché saremo al Mi Ami Festival, ancora a Milano. Poi ci sarà Monaco ma prima di sbarcare all’estero vogliamo fare palestra in Italia, perché fuori la concorrenza è agguerrita. Infine c’è un EP che pubblicheremo ancora per la Gomma, e i remix di cui ti parlavamo.

  • Una piccola perla per MusicZoom? Anticipazioni?

Carlo: Come dice Notorious B.I.G. “Il limite è il cielo”. Presto capirete il perché!

 

Leggi il live report di The Field + Esperanza @ Locanda Atlantide.

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