Arrivo puntale alle 10. Il concerto è iniziato da un pezzo e mi perdo tutto l’opening act, affidato al pianista del gruppo che lascia il suo strumento abituale per concentrarsi su strazianti e rumorose prove alla chitarra. Non ero mai riuscito ad arrivare ad un concerto saltando il gruppo spalla o l’opening act. Non che ci avessi mai provato, anzi prendevo in giro chi lo faceva sempre come Lorenzo. Non riuscivo minimamente a capacitarmi come facessero sempre ad arrivare proprio quando mirabilmente entrava in scena il cardine della serata, gruppo principale che dir si voglia. C’era qualcuno dietro lo quinte che li avvisava? Erano degli indovini? Poco male, stasera ci sono riuscito io. Ma non ho nessuno a cui dirlo. Come ultimo concerto del 2006 e sotto una pesante cappa natalizia non è che sia il massimo. Avevo anzi pensato di mollare tutto e non andarci più. Poi la frustrazione è stata sottomessa, e con una grande prova d’orgoglio rocker mi vesto e scendo a tutta velocità da casa, attraversando paesaggi spettrali in un sabato sera come non mai. E’stata la cosa migliore che ho fatto quest’anno. Si è vero, avevo anche comprato il biglietto due settimane prima. Quella scritta mi aveva colpito e poi la copertina del disco con quei grattacieli avvolti nel buio di una nuvolosa notte metropolitana che ti spezza il fiato, e solo le luci dalle finestre, unica speranza al buio infinito…
L’aria è fredda, ha appena piovuto, ma ormai sono dentro, dentro il posto ma soprattutto dentro me stesso. Recupero al più presto una birra e mi dirigo sotto il palco attraversando un muro spesso così di gente, tra occhiatacce feroci e sbuffi impazienti. Accendo la macchina digitale ed attendo. E bevo. Un segnale dal palco. Due luci che si accendono. Si alza l’intro di Toward The Waves ed entrano in scena Dave Rosser, Scott Ford, Jeff Kleine e Bob Macyntire. Ecco anche un tizio mago magro, con baffetti e giacca e cravatta, impeccabile, sembra uscito proprio adesso da Goodfellas di Scorsese, si dirige al microfono ed in un italiano americanizzato annuncia “Buonasera Roma! Questa sera la mia famiglia…From Los Angeles, California, The Twilight Singers!”. Arriva dai riflettori qualche riflesso bluastro ed un robusto Greg Dulli, con ciuffo alla Elvis appena accennato fa il suo ingresso in scena. Si comincia forte con I’m Ready. Madonna mia! Mi si accappona la pelle, il volume è altissimo, vanno subito di potenza con un pezzo hard ed un profondità blues che dal vivo viene accentuata maggiormente. La voce di Dulli è un trapano ad alto voltaggio che rischia di farmi impazzire prima della fine della serata. Le sigarette si sprecano sul palco, ma sono attrezzatissimi con portacenerei e portabibite. Una band full-optional. Non conoscevo Dulli, sapevo solo che l’amico di Manuel Agnelli e degli Afterhours con i quali aveva anche fatto un tour insieme, aveva formato gli Afghan Wings ma nulla più,. Ma adesso so anche che gli Afghan Whigs furono la prima band non appartenente all’area di Seattle ad essere messa sotto contratto dalla mitica Sub Pop Records. Ma non faccio in tempo ad accorgermene perché Teenage Wristband prima mi culla con il suo dolce intro, e subito dopo mi solleva dal pavimento e mi scaraventa in cielo con forza inaudita. Stasera inizio a rendermi conto che ci si diverte…Viene subito dopo la volta di Bonnie Brae, punta di diamante del nuovo album, Powder Burns, uscito quest’anno per la One Little Indian Records (…si, si chiama così. Embè?). Dulli ha una voce pazzesca e si muove sul palco con tutta l’esperienza di chi ne ha viste tante. Fine del pezzo. Entra Laneghan. Mark Lanegan. Il 70% delle mie motivazioni nel venire qui stasera deriva da lui. E dall’ascolto del mirabile Bubblegum. E dalle sue continue apparizione negli album dei Queen Of The Stone Age. Insomma, un mito della scena indie americana. Partono con Live With Me ma è tutto un continuo e finiscono addirittura con una Where Did You Sleep Last Night di una acidità immane. Non rinunciano a mettersi in gioco ed a cantare pezzi di altri artisti, come un classico della canzone folk americana che Cobain riprese in un famoso live. Lanegan ha costantemente la mano sinistra sul microfono, quella destra sull’asta ed uno sguardo truce. Non modificherà la sua presa, non modificherà il suo sguardo, sembra un Clint Eastwood metropolitano che conosce un solo sguardo. Lo storico leader degli Screaming Trees, che ha collaborato con tutto il mondo più acido e drogato degli USA, ha una voce che fa vibrare il cuore, e quando ci scappa pure Sideways in Reverse è apocalisse senza cavalieri! Il punk prende possesso della sala ed è tutto un movimento, un’unica onda che salta e si esalta senza tregua. Esce dalla sala sempre con lo stesso sguardo, ma facendo un segno di approvazione appena percettibile. Ha approvato. Ma il grandioso ancora deve arrivare. La serata prende quota e Dulli decide che è arrivato il momento di mettersi al piano. Ci sbatte sopra subito un Fat City (Slight Return) da Blackberry Belle (2003) meraviglioso secondo album registrato dalla band. Un cantato caldo e sensuale, le atmosfere iniziano a divenire più stranianti…There’s Been An Accident è una lunga ode poetica, sicuramente uno dei pezzi migliori della serata, un lungo rincorrersi sotto una notte senza senso, ballata meravigliosa. Impressionante come sale l’entusiasmo del pubblico. Martin Eden invece riempie la sala di malinconia. L’usa sapiente del piano agevola la melodia che si diffonde nell’aria, ma è con Forty Dollars che il gruppo dimostra una compattezza sublime.
Escono, ma il pubblico li reclama a gran voce per il bis. Parte l’intro di The Killer e Dulli interpreta ancora magistralmente un inno a questa strana notte senza stelle che annuncia finalmente un inverno finora solo rimandato. Rientra anche Laneghan, che nel frattempo non ha cambiato il suo sguardo truce e prepara una fantastica Black Is The Color Of My True Love’s Hair di una morbidezza ed eleganza indimenticabile, ed un finale immortale con Underneath The Waves, una fragorosa marcia verso la luce che ci libera da questa notte fastidiosa e da tutti i nostri fantasmi, reali e non, e ci fa sentire parte di un momento, unico e irripetibile…
Il concerto più bello di quest’anno è appena concluso. Mi guardo in giro e vedo le facce della gente appagate ed entusiaste, il locale è pieno come un uovo. Io, sperduto nella moltitudine, mi fermo un secondo a riflettere. Qualcuno una volta mi ha detto che bisognerebbe smettere di pensare, staccare l’interruttore del cervello e godersi appieno le emozioni. Ma in questo momento non ci riesco. Decido di tornare a casa, solo e contento di avere fatto la mia parte anche stasera, ho timbrato ancora una volta il cartellino ed in cambio ho ricevuto una copia di Blackberry Belle, che custodisco gelosamente in mano…
mag 02
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