Abbiamo fatto in fretta e furia, le classiche decisioni dell’ultimo momento dovute alla lunga inattività e ad una certa dose accidia che ci attanaglia l’anima in questo periodo. Ore 21.20. Un colpo di telefono, che si fa? Si deve andare o no? Ma si dai, martedì sera, poca gente, serata interessante, 10 euro e un paio di birre, buona musica e rientro tranquillo o quasi…In programma XXL, vale a dire il tour per l’accoppiata Xiu Xiu e Larsen. Il programma prevede prima lo show dei Larsen, poi un live degli XXL e successivamente quello dei più noti Xiu Xiu, ma le sorprese non mancheranno…
La poca gente in fila viene smaltita abbastanza facilmente, così ci si può intrufolare subito dentro e resprirare un po’ l’aria che tira. Ci immergiamo nella sala dove ci attende il palco, quasi sul punto di cadere per la tanta roba che vi è posizionata: pianole, drum machines, campanellini, gong, armoniche, oltre ai più convenzionali basso, chitarra e batteria. Ma che ci fanno questi qui con tutta quella roba? Riusciranno a muoversi sul palco? Sarà che sono sempre stato allergico alla confusione, ho sempre preferito la semplicità, per la ragione che il mio cervello inizia ad andare in corto circuito non appena le cose si complicano…
I Larsen, con mia grande sorpresa sono una formazione torinese, nonostante il nome evochi un certo difensore danese, qualche milanista lo ricorderà di certo…Il gruppo è composto da Fabrizio Palombo (Chitarra e Voce), Marco Schiavo (Batteria), Paolo Della piana (Piano) e Roberto M Clemente (Chitarra). Il loro arrivo coincide con la mia prima birra ed il poker di musicisti riserva subito melodie astratte, fluttuanti nell’aria, in maniera molto ricercata e manieristica, in linea con la leggerezza di questi primi giorni di maggio. L’approccio è marcatamente strumentale ed i paesaggi disegnati dalle tracce composte sono decisamente nordeuropei, forse danesi, mi sa danesi, sì…. L’impegno è nella presentazione del loro ultimo album, SeieS, viaggio al limite tra la notte più buia e le prime avvisaglie dell’alba. Si risente nei loro suoni l’influenza di Sigur Ros e gruppi similari, specie nelle linee di chitarra e nelle atmosfere trasognate ed al limite dell’onirico, aiutati anche dalla comparsa qua e là di qualche violino, quasi sempre in maniera strumentale. Veramente molto bravi!
Successivamente salgono sul palco gli Xiu Xiu, autori in contemporanea con i Larsen, di un disco registrato nel 2005 che ha colpito nel segno: Ciautistico. Sul palco si aggirano sei anime turbate profondamente, l’atmosfera cupa e nebbiosa avvolge la sala, ed una certa malinconia sale fin dentro la nostra bocca, lasciandoci prosciugati di ogni sentimento e muti di fronte al palco. I pezzi che si susseguono con una certa lunghezza, fanno comunque capire che le melodie dei Larsen offrono un morbido scenario su cui poggiare cautamente la forte dose di disperazione intrinseca degli Xiu Xiu. Una sorta di introspezione insistita sull’animo umano, ma anche su se stesso, quasi un viaggio alla scoperta di se stesso senza alcun compiacimento, ma con una crudezza che lascia soffocati.
Tocca ora agli Xiu Xiu, band americana il cui nome deriva da un film cinese del 1998 intitolato per l’appunto Xiu Xiu: The Sent Down Girl. Le peculiarità artistiche del gruppo sono la ricerca di territori ancora inesplorati dalla musica indie contemporanea ed un impegno in questo senso è ravvisabile in tutta la loro produzione, sin dal loro primo album Knife Play, registrato nel 2002 dopo aver rilasciato, sempre nello stesso anno, un primo EP, Chapel of the Chimes. Il successivo lavoro, realizzato l’anno successivo è A Promise, focalizzato sulla disperazione, il tormento ed il dolore come componenti naturali della vita umana, proprio come si conviene ad un fan degli intramontabili Joy Division. Del 2004 è invece il terzo album, Fabulous Muscles, sicuramente il più avvicinabile per i neofiti, oltre ad essere il mio preferito, con una maggiore concessione al lirismo pop e più vicino alla forma classica della canzone, mentre nel 2005 esce La Forêt, sorta di re-immersione nelle atmosfere dark tanto connaturate agli album precedenti. Il progetto regge quasi tutto sulle spalle di Jamie Stewart, cantante ed autore dei testi, sorta di Ian Curtis del XI° secolo, con una predilezione speciale per il frastuono e i suoni indefinibili. In compagnia di Caralee McElroy, per la cronaca sua cugina, con la quale registra i lavori e va in tour, Stewart ricerca nell’approccio sperimentale una non ben marcata divisione di generi che coinvolge a tutto raggio punk, noise e garage, in cui si rinvengono influenze del decennio più sperimentale della musica contemporanea, vale a dire gli Ottanta: si odono nei loro pezzi infatti echi lontani dei Joy Division e dei Cure meno conosciuti. Lo show è incentrato sulla lunga produzione del gruppo, con Caralee che sia aggira tranquilla sul palco a cambiare strumenti ad ogni canzone come una musa cui è stato affidato un compito fondamentale per la specie umana, mentre Stewart si affanna a suonare ogni cosa presente sul palco e ad urlare la propria disperazione in modo molto convincente al limite dell’autocommiserazione. Diciamo, non certo uno spettacolo di allegria brasileira…
In conclusione la sorpresa, ma non tanto…un’ennesima rimpatriata tra i due gruppi, sicuramente eccessiva, vista la tarda ora e lo spirito della serata. E’ dalle 10.00 che siamo qui e si è fatta quasi l’una, il tono sommesso e triste della melodia proveniente dagli strumenti (più che suonati, quasi torturati, costretti a stare sul palco!) non agevola discorsi allegri, anzi, non agevola discorsi proprio, ognuno a pensare ai fatti suoi, in attesa della fine e della liberazione. C’è voglia di qualcosa di divertente alla conclusione, ed altro non può essere che uscire e scoprire che la primavera ormai è giunta, ma soprattutto che il tempo dei concerti al chiuso sta per finire…
mag 02
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