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mag 03

…And you will know us by the trail of dead + Witchcraft + Saviours @ Black Cat

Trail of dead

La splendore degli Hives ci ha accecato come non era mai successo prima. Ma non faccio in tempo a realizzare di aver visto uno dei concerti più belli della mia insulsa vita che sul palco del Black Cat arriva un gruppo dal nome lunghissimo e dal suono apocalittico…
Quanto ce ne è voluto per convincere Caterina. Stasera toccava a lei e, nonostante le reticenze iniziali, alla fine l’ho convinta a sperimentare una serata dalle pericolose sonorità. Il problema è stato che sul sito il concerto oggi, giorno del signore 21 ottobre 2007, era dato alle ore 20, quindi mi avvio all’appuntamento non troppo puntuale…Acchiappo Cate e ci dirigiamo verso il Black Cat, dove, appena arrivati, scopriamo che il concerto in realtà inizierà verso le 21. La angusta cucina del Black Cat non ci ispira troppo quindi usciamo fuori per un classico McDonald con le vetrate che danno sull’incrocio tra U street e la 14esima, tra cassiere ispaniche e mamme di colore indaffarate con tre figlioletti che entrano dentro al caldo solo per aspettare l’autobus bianco dalle strisce rosse e blu che le riporteranno nelle loro case in una periferia non troppo sicura della città…
Appena si rientra partono le prime Sierra Nevada che bagnano l’entrata in scena del primo gruppo della serata: i Saviours. Ed eccocci spiegati il motivo della presenza di tutti questi chiodi, borchie, teschi e cianfrusaglie varie con colore predominante nero. Come molti di voi sapete non sono mai stato un amante del metal, e la forza d’urto della band di Oakland, CA, oltre a non interessarmi molto, allarma anche la povera Cate, che si aspettava ben altro nella sua prima apparizione al Black Cat. I pezzi di Austin Barber (voce e chitarra), Dean Tyler Morris (chitarra), Cyrus Comiskey (basso, membro anche dei Drunk Horse) e Scott Batiste (batteria) comunque sono molto ben curati e potrebbero interessare i molti metallari che affollano le strade ed i contest dei locali di Crotone…Crucifire è il titolo del loro album di debutto (uscito nel 2006 per la Level Plane), l’Ep Cavern Of Mind è la loro ultima produzione ed i brani del nuovo album ci sono presentati stasera, visto che i ragazzi hanno appena firmato per la Kemado Records e stanno registrando il nuovo album con Joe Barresi (collaborazioni con Melvins, Tool e Kyuss…questi nomi vi dicono qualcosa???).
Altra birra, altro gruppo. E’il turno dei Witchcraft, quattro capelloni scandinavi con un folto seguito di fan che occupano le prime postazioni. Vengono da Orebro, Svezia, ma probabilmente anche direttamente dagli anni’70. Il loro rock, modellato se possibile, sulla sagoma di Ozzy Osbourne e dei Black Sabbath, affascina molto Cate, specialmente per le corde vocali di Magnus Pelander (voce, chitarra e giacchetta bianca), affiancato sul palco stasera da John Hoyles (chitarra) Ola Henriksson (basso) e Fredrik Jansson (batteria). Alle spalle hanno tre album, il primo omonimo del 2004 e Firewood del 2005, mentre The Alchemist è uscito quest’anno: tutti per la Rise Above Records. Pezzi intrisi di simbolismi, assoli precisi, vocione potente e capelli al vento: così si sono guadagnati il rispetto del pubblico di DC, uno zoccolo duro affezionato come non succede spesso per i gruppi d’oltreoceano.
Siamo alla terza birra. Ed anche al terzo gruppo della serata. Si nota una doppia batteria sul palco, ma Melvins e Big Business sono già ripartiti. Quindi non può trattarsi di altro che dei Trail Of Dead: Kevin Allen (chitarra, cappellino ed occhiali), Danny Wood (basso) ed
Aaron Ford (batteria), Jason Reece (voce, chitarra e batteria) e Conrad Kelly (voce, tastiere, e chitarra). Questo è un gruppo assurdo. E quando dico assurdo dico tecnica assoluta, ma soprattutto spirito ed anima, emozioni, brividi sulla pelle e streganti melodie, gracchiante rumore, ritmo incandescente e tutto quello che vuoi avere in un gruppo.. Fu(rore)ori dal normale… Originari dello Stato di Washington (sempre quello nel nord ovest…) si sono stabiliti ad Austin, TX e lì hanno inziato a darci dentro con una serie di album dal valore infinito, dal primo omonimo album rilasciato per la Trance Sindacate nel 1998, al seguito Madonna (Merge Records) fino al capolavoro del 2002, quel Source Tags & Codes che ha segnato il debutto per una major (la Interscope Records) e dal suono semplicemente magnifico! Sempre per la Interscope i Trail Of Dead hanno pubblicato Worlds Apart nel 2005 e So Divided nel 2006, continuando nel percorso accidentato verso il sublime, tra boscosi viottoli medievali fuori città, su un carrozzone dal quale distribuiscono un rabbioso Alternative Rock a piene mani a noi poveri mortali affacciati ai balconi per vedere il passaggio degli stranieri.
Stasera il ratto è immediato, solo che al posto delle Sabine sono le nostre coscienze che ci vengono sottratte durante lo show: restiamo completamente imbambolati ad osservare un impetuoso flusso di sonorità che ci attraversa come un montuoso torrente in piena durante lo show. Una cosa salta subito all’occhio: il fatto che Pitchfork Media abbia dato 10.0 a Source Tags & Code (!!!)  non è stato un attimo di follia nei gestori del sito, come potrebbe capitare a Benz od a Yonah durante la ristrutturazione di CrotoneOnWeb. I pezzi di questo disco meriterebbero di entrare nella Galleria di Arte Contemporanea di un qualsiasi museo musicale del mondo, per intensità, pathos, eccellenza e sublimità sconosciute alla maggior parte dei gruppi che calpestano i palcoscenici del pianeta. It Was There That I Saw You scardina le strutture portanti della tua conoscenza musicale per indirizzarti verso nuovi territori che il tuo orecchio non aveva mai sentito prima. I pochi secondi di arpeggio inziale e la cascata di suoni che si abbatte su di noi con una violenza inaudita viene prima smorzata e poi attenuata da un interlude di dolcezza infinita, sotto la luce cocente di un sole arancione e la serenità tipica delle giornate primaverili, in una grotta nascosta dall’acqua che scende giù da altitudini elevate. Conrad Keely, mollata la tastiera, imbraccia la chitarra e si mette a ciondolare sul palco, completamente rapito dal suono. L’arpeggio ciclico ritorna, si trattiene il fiato, mi vergogno pure a scattare foto vista l’atmosfera che si è creata…E poi giù, un’altra cascata di suoni che ti spara come una pallottola verso il centro della Terra. E ti fa riuscire dall’altra latitudine per scoprire che lì il sole è appena spuntato. Another Morning Stoner. Le bacchettate sulla batteria sono sferzate violente mentre le chitarre sono punteruoli per il ghiaccio che ti bucano dentro, fin quando non riesci a liberarti con gli urli finali. Per non parlare di Baudelaire, dove Keely ci va giù di nervoso, della magica ed alchemica Relative Ways con un Jason Reece al fulmicotone, dolce e sensuale come una giornata primaverile dopo l’ultimo acquazzone quando dall’odore che si alza dall’asfalto delle strade cittadine senti che ormai è tempo di cambiare il guardaroba. E che dire di How Near, How Far, della apocalittica e bifronte Will You Smile Again e troppe altre ancora, perché i Trail Of Dead non fanno una sola hit, ma ogni loro pezzo è una hit, perché costruito col cervello e col cuore…
…And You Will Know Us By The Trail Of Dead…Stasera finalmente capisco perchè il loro nome viene accostato alla quanto mai buffa (per me) definizione di Art Rock…Una definizione che non ho mai capito appieno: creare musica con ausilio di tecniche sperimentali allo scopo di avvicinarsi verso la classica forma d’arte? Oppure giudizio che i critici danno dall’artista o della sua opera? Io capisco solo la seconda definizione ed in questo caso posso dire, sissignori, i Trail Of Dead creano musica di livello stratosferico, fuori dal normale, più vicino possibile all’idea di Arte con la A maiuscola, quella che ti fulmina e ti fa chiedere, gridare, urlare a squarciagola…Would You Smile Again for Me?

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