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mag 29

Neon Indian + Grimes @ Circolo degli Artisti

Grimes

Al Circolo degli Artisti stasera c’è aria da ultimo giorno di scuola. D’altronde è appena iniziata l’ultima settimana di maggio, e intorno a me si dimena strafottente una marea di giovani d’oggi da scatarrarci su. E’ la famiglia del Glamda, con cui, ahimè, non ho molto da spartire. Varco i cancelli e immediatamente mi decanto, come una goccia di olio in un bicchiere d’acqua. Mi sento a disagio. Sarà colpa della mia barba, o della maglietta di Dylan Dog che indosso, quella con la copertina de “La casa infestata”, n.30, matite & chine di Castellini – l’avevo messa perché il mostro che vi compare mi ricorda la copertina dell’ultimo lavoro di Grimes per la 4AD, e anche per testimoniare il mio amore per quegli anni ottanta cui le sonorità di Neon Indian devono così tanto. Eppure, stasera, sembro l’unico a guardare a quell’epoca con nostalgia. Tutt’intorno vedo solo tanta incoscienza. Gli stessi Alan Palomo e Claire Boucher, entrambi classe ’88, che ricordi potranno mai serbare degli eighties? Poi ripenso ai miei vent’anni (dieci anni fa) e alla venerazione che provavo verso le band dei gloriosi anni settanta e capisco che è tutto a posto, tutto normale, tutto fisiologico: ogni generazione mitizza quella che l’ha preceduta. Al Circolo degli Artisti va in scena il turnover del revival.
La prima a salire sul palco è la canadese, spigliata, sorridente, lattina di birra e parrucca bionda ad accentuare il suo appeal bubblegum. Davanti a sé una Roland Gaia, un sequencer e una manciata di effetti. La sua performance è fresca e spontanea, forse anche un po’ improvvisata. L’impressione è di averla incrociata in un parco, nel mezzo di una jam per gli amici. I pezzi funzionano, però, e il pubblico balla al ritmo del suo scheletrico electro-pop. Tutto ruota intorno alla sua voce – spesso usata in loop per aggiungere strati ai brani – e al suo innegabile carisma. Si è trascinati nel suo mondo naif, nel suo atelier di curiosi collage, giustapposizioni di fantasia e realtà, frammenti di personalità in esubero. Per il trittico adrenalinico Genesis – Oblivion – Be a body viene affiancata da due percussionisti, uno alla batteria e uno alle prese con due pad ottagonali usciti da una puntata di Jem & le Holograms; la mossa – più una trovata scenica che una scelta dettata dalla necessità di avere una band ad accompagnarla sul palco – è molto apprezzata dal pubblico che si scatena fino a costringermi a retrocedere al bancone bar. E’ da lì che applaudo alla talentuosa Grimes per il suo show un po’ acerbo, sinceramente sfacciato, ma dannatamente coinvolgente.
Durante il cambio palco colgo la chance di scambiare quattro chiacchiere in cortile con il buon vecchio Closer e la nostra/vostra Giò, che nonostante l’imminente partenza per il Primavera Sound decidono di tenermi compagnia per il secondo atto della serata. Buon viaggio, ragazzi!
La sala concerti del Circolo ha un aspetto diverso quando vi rientro: le facce delle persone non sembrano le stesse di prima. E’ curioso come Alan, sosia inconsapevole di Jake Gyllenhaal e ventiquattrenne come Claire, attragga un pubblico così diverso da quello che un attimo prima esultava per Grimes. In effetti la performance di Neon Indian è costruita in maniera nettamente diversa: quattro elementi sul palco si dividono fra un microfono, un basso elettrico, una batteria e ben tre postazioni synth. Praticamente un cantiere, o meglio, una
fucina. Fin da subito appare chiaro come Alan e Claire percepiscano sé stessi e intendano il loro mestiere in maniera differente. La scaletta di Neon Indian, sapientemente architettata, ci porta attraverso i suoi due LP alternando i momenti più acidi (Mind, drips) del primo lavoro a quelli più easy (Polish girl, Hex girlfriend) del secondo, senza indulgere nell’elettro-ambient fine a sé stesso di certi colleghi chill-wave né autocompiacersi eccessivamente con la cantabilità pop. I brani scorrono fluidi l’uno nell’altro tramite un incessante lavorio sui
circuiti dei mille giocattoli vintage presenti sul palco; l’intero concerto è un interminabile sogno shoegaze con i synth al posto delle chitarre. I tre gregari lavorano alacremente ma la personalità del front-man emerge lo stesso e con naturalezza; convincente al microfono e impeccabile nel cambiare le patch al suo Korg MS-20, il texano di origini messicane Alan Palomo tradisce un pedigree da figlio d’arte ma dimostra di volersela giocare con i grandi con umiltà. E allora largo ai giovani: è iniziata l’estate romana!

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