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mag 03

Broken Social Scene @ 9:30 Club

Broken Social Scene

Capolinea, signori. Ultima fermata del treno partito da Closer il 12 settembre, fermatosi alle stazioni di: Black Lips, Longwave, Le Loup, These United States (coincidenza con Greenland), Voxtrot, Melvins, The Hives, …And You Will Know Us By The Trail Of Dead ed Electric Six. Fra pochi minuti il treno giungerà presso la stazione del 9:30 Club, dove ci attenderà Kevin Drew ed i suoi Broken Social Scene. Non sono previsti ritardi e giungeremo in perfetto orario. Speriamo che il viaggio sia stato di Vostro gradimento. Nel salutarvi definitivamente, Closer Railways & Co. desidera inoltre ringraziavi per tutto il supporto che ci avete dato in questi anni.
Essì ragazzi. Siamo arrivati alla conclusione delle nostre peripezie, americane e non. Il gelido freddo degli inverni statunitensi inizia già a farsi sentire, le uscite serali vengono ridotte al minimo e, come gli uccelli migratori, mi preparo a spiccare il volo verso lidi più caldi. Ma prima di abbandonare questo meraviglioso paese, un ultimo viaggio, un ultimo canto del cigno, un finale degno delle migliori conclusioni Vi è riservato.
Rompiamo gli schemi, salutiamo il Black Cat e ci dirigiamo, incuranti delle polemiche sulla sicurezza di DC e delle sue zone malfamate, verso V street, all’altezza della Howard University. Senza giubbino antiproiettile, in solitario come al solito, prendo la metro e scendo alla fermata di U Street, seguo la scia di gente fino al 9:30 Club. L’entrata è un po’spoglia, Simona me ne aveva parlato, ma l’agglomerato di umani là fuori mi fa ben pensare. Pago i 25 $ di entrata (record della mia permanenza statunitense, ma, cacchio, sono i Broken Social Scene!!!) ed entro in corridoi stretti, ne supero uno, due ed eccomi finalmente nella sala del palco. Wow! Lo spazio è enorme e già gremito di gente. Mi guardo intorno e vedo balconate come nei teatri ed un impianto audio di notevoli dimensioni. Anche il palco, la cui altezza arriva al mio stomaco è spazioso, sicuramente più ampio del Black Cat, e l’atmosfera che si respira è eccellente.
Dopo una mezz’oretta buona di attesa entrano in campo Kevin Drew (voce e chitarra), Brendan Canning (basso, chitarra e voce), Justin Peroff (batteria), i fondatori del progetto Broken Social Scene, insieme ad i nuovi membri del collettivo. La parola collettivo è forse quella che aderisce meglio alla definizione dei canadesi Broken Social Scene: non si può chiamarli gruppo, nella definizione classica. I BSS sono un collettivo di Toronto, aperti alla entrata di nuovi membri, una specie di casa dalla porta sempre aperta, dove si festeggia continuamente il party di qualcuno e tutti sono i benvenuti. Questa sera il party è di Kevin Drew, autore del nuovo album Spirit If…primo di una serie di album presentati dai BSS. Lo so è un po’ complicato da capire, ci ho messo un po’ anche io. Si tratta di un progetto solista (ce ne stanno in cantiere altri) che viene sviluppato, ed in questo caso suonato dal vivo, da tutti gli altri membri del collettivo e da ospiti invitati appositamente da Drew. Per la serie: chi lo ha detto che per fare un progetto solista devo appositamente allontanarmi dai membri del mio gruppo? Fantastico, no?
Ed allora tuffiamoci in Spirit If…Dalla apertura alla chiusura del concerto è un trionfo di emozioni, sussulti, magie e suoni indescrivibili. Farawell to Pressure Kids, traccia di apertura colpisce per un arrangiamento fresco, ridondante di suoni e decisamente magico. Dietro di me un tizio commenta “How many guitars it needs to perform a good song…”. A fine concerto, dopo averlo conosciuto, mi informa che li ha già visti 23 volte. Cazzo. Ed è assolutamente vero quello che dice sul numero di chitarre. In media sono tre, ma ne ho contate anche quattro contemporaneamente sul palco. La sussurrata TBTF continua sul solco dell’indie rock/pop, una gemma di colori, suoni e parole: degna di essere il singolo dell’album. Ehi, ma ci stanno anche i Broken Social Scene! Allora perché non spaziare nell’ampia discografia del gruppo, lanciare la lenza e pescare a caso un diamante qualsiasi? Cause=Time del mitico You Forgot It In People. Il primo album che ho comprato dai BSS fu dovuto alla rabbia cieca di non essere potuto andare a vederli al Circolo a Roma un paio di anni fa. Incazzato come una iena, il giorno dopo mi presentai da Disfunzioni Musicali (pace all’anima sua…). Tornai a casa, ascoltai l’album e mi incazzai ancora di più. E l’assolo che ti tocca le viscere e ti rende vulnerabile a qualsiasi tipo di emozione…dio mio che gruppo! Sto iniziando a sclerale, e pezzo dopo pezzo il mio umore raggiunge livelli stratosferici: la celestiale Fucked Up Kid è una camminata nel bianco manto mattutino, ancora fresco per la nevicata della notte. Il sole è limpido, il cielo è azzurro ed il tuo viso è chiaro, pulito, non tradisce sensazioni ma liberami dal male. Amen. Stars & Sons ha la partenza di un trattore notturno, ma l’incedere di suoni la trasforma fino a sfigurarne il volto: Kevin ha una voce fenomenale e flirta amorevolmente col disincantato pubblico del 9:30. Brendan Canning, con i suoi occhialini, il suo capello biondo ribelle e le sue movenze feline mi fa troppa simpatia. Le sue battute sul palco non si contano più, soprattutto quando i pezzi dei BSS iniziano a prendere il sopravvento su quelli di Drew, come era facilmente prevedibile. E tutto ciò succede soprattutto quando arriva il momento dei pezzi del capolavoro assoluto dei BSS: l’omonimo 2005. Le prime note di Superconnected vengono accolte da un’ovazione, il frastuono si alza prepotente da palco: This is super-connected, It’s time to leave…si. Ormai sono superconnesso a questo continente, proprio quando è arrivato il tempo di andare via…Se vi dico che non me ne vorrei più andare dagli USA non ci crede nessuno. Il mio umore scende sotto i tacchi quando arriva It’s All Gonna Break…è tempo di lasciare questo meraviglioso paese, le sue città, le sue persone, la sua amara violenza e la sua infinita gentilezza.
Il ricordo che mi resterà sarà affidato sempre alla magia della musica, perché …“you all want the lovely music to save your lives”…Perché la mente conserva i ricordi, ma questi piano piano sbiadiscono come le fotografie delle macchinette fotografiche tedesche degli anni’70…le linee scompaiono e le persone pure, fin quando non le vedi più e ti domandi “…why are you always fucking ghosts…”…Kevin continua, ma a me ormai scendono spontanee le lacrime, fin quando non arriva l’ultimo pezzo della serata a dare un senso a questa malinconia…When It Begins mi scioglie come un gelato, i dolci accordi della chitarra acustica ed il gioioso ritornello che sembra fermare tutto: “Well, it’s gonna be really hard to get to the end…But don’t forget what you felt….No, don’t forget what you felt…”. Kevin si avvicina a noi e fa cantare il pubblico, canto pure io per stamparmi col cemento armato queste parole nel cervello. Dopo una standing ovation di 5 minuti buoni in cui resto imbambolato, giro le spalle al palco ed attraverso i corridoi, attraverso l’uscita, attraverso i ricordi, dribblo la gente davanti alla porta ed in notturna mi dirigo verso V street e le strade della capitale.
Ecco la fermata finale. Il capolinea delle mie avventure americane, di tutti i miei articoli, e di me stesso. Non è nulla di poetico nel senso romantico del termine. La mia fine è solo una semplice fermata della metro, un monolite nero alto un po’ più di me con una M grossa sopra e la scritta bianca “U Street, African American Civil War, Memorial Cardozo”. Niente di più metropolitano di essere inghiottito in una galleria di cemento, con l’ausilio di una scala mobile grigia. E quel tizio con il parka Lambretta colore verde, la macchina digitale in tasca, jeans e le scarpe Gola ormai consumate dalle lunghe marce per vedere concerti di gruppi sconosciuti…mi sembra di riconoscerlo…Addio a tutti Voi e grazie per la pazienza con cui mi avete sopportato in questi anni…si, quel tizio lì in lontananza inghiottito dalla notte di DC dovrei essere io…ed allora addio U.S. Closer, e grazie infinite per essere stato….semplicemente…me stesso…

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