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mag 30

Rammstein – Rosenrot

Dopo l’ultimo articolo pubblicato qui su Musiczoom e dedicato a Rust In Peace dei Megadeth, ho avuto il piacere di ricevere alcune vostre mail nelle quali mi si chiedeva il motivo per cui la rubrica Time Warp, “inaugurata per ricordare quei dischi che nel loro piccolo hanno contribuito ad arricchire la storia della musica (sebbene siano stati vergognosamente dimenticati)”, sia ampiamente dominata da pubblicazioni metal o, comunque, heavy oriented.
La risposta è semplice e spero possa soddisfare l’onesta curiosità con la quale mi sono state rivolte simili osservazioni: per troppo tempo, dapprima sulla carta stampata, poi sulle pagine virtuali del web, l’heavy metal è stato trattato alla stregua d’un appestato seicentesco, un argomento tabù d’affrontare con estreme misure cautelari, con un paio di pinze ad alto isolamento, verrebbe da dire; da un lato, credo questo sia stato effettuato per soddisfare l’ego dei tanti (e ripeto: TANTI) presunti lettori “colti” di settimanali di presunta critica musicale per le cui fini orecchie The Number Of The Beast è solo un concentrato di rumore e caos; dall’altro, perché fra i giovani sbarbatelli con la postepay ricaricata mensilmente da mamma e papà ha sempre venduto più biglietti l’artista maledetto, soprattutto se belloccio e paraculo, del quarantenne pelato e sudato che si sbatte sul palco tra effluvi di birra e sudore … e vuoi che XL si lasci sfuggire l’opportunità di vendere qualche copia in più della propria testata?
Inoltre, l’heavy metal si è sempre dimostrato più utile come capro espiatorio verso cui scagliare i fuochi dell’isterismo di massa in seguito a tragici avvenimenti che di certo non voglio elogiare piuttosto che come genere musicale da apprezzare e di cui conversare.
Avete forse dimenticato le chiacchiere da bar dello sport registrate nelle televisioni di mezzo mondo dopo i fatti della Columbine?
E le accuse d’istigazione al suicidio nate dalla stravagante ricerca dell’Università di Melbourne?
Ogni società ha bisogno d’un nemico.
Grazie a decenni di fighetti universitari e TV spazzatura (la stessa pronta ad accogliere le metal band nel momento in cui un loro album si appresta ad entrare in classifica) siamo stati cresciuti con la convinzione che il metal fosse rappresentabile, idealmente, attraverso un collage grottesco di adorazioni sataniche, sangue e viscere come piovesse, stupri di massa, nazismo ed omofobia; purtroppo, però, quest’ignoranza di cui tutti siamo complici ha condotto band d’indubbio valore come i Vision Bleak (o i Pantheist, o ancora i Primordial) a doversi dedicare ad altro, per poter sopravvivere, ed a sostenere mediamente 6/7 concerti l’anno quando meriterebbero i palchi d’un intero universo.
Purtroppo, proprio quest’ignoranza ha relegato capolavori come The Shadowtrone o Morningrise in quella nicchia senza tempo dove solo il ricordo può arrivare.
Con Time Warp, nel mio piccolo, questo finirà; anzi: con Time Warp ho intenzione di dar voce proprio a quegli album dimenticati, ma fondamentali, nel già dimenticato panorama heavy metal.
Che vi piaccia o meno, insomma, l’heavy metal è musica.
Perciò, proprio su Time Warp, voglio oggi parlarvi di quel gioiello di metallo pesante che deve la propria luminosità alle pirotecniche invenzioni dei teutonici Rammstein: Rosenrot.
Piccolo inciso: chi di voi non conosce i Rammstein è pregato di togliersi dalle palle, grazie.
Ora che siamo rimasti in pochi, stringiamoci calorosamente l’un l’altro e dedichiamoci a questo portento di atmosfere industriali e romanticismo germanico che vide la luce nell’ormai lontano 2005.
A cavallo fra l’immenso Reise, Reise ed il successivo Liebe Ist Für Alle Da, ma, ancor di più, sulla scia del clamore nato dopo la pubblicazione del mastodontico Mutter, Rosenrot si è, fin da subito, posto come ideale B – Side del disco celebre per Amerika, di cui, musicalmente, costituisce una vera e propria appendice.
Dalle sessioni che diedero la luce a Reise, Reise, infatti, i nostri scartarono ben sei brani, ma – fortunatamente – questi sei brani vennero presto recuperati e, con l’aggiunta di altre cinque composizioni nuove di zecca, a distanza di soli sei mesi dalla precedente release, venne dato alle stampe Rosenrot, un concentrato di funambolismi e sentimentalismo come nessun altro disco dei Rammstein è stato capace di offrire.
Volendo fare i pignoli, potremmo separare il cuore di questa “rosella” in due anime distinte ma complementari: fuoco ed ombra, violenza e dolcezza, rabbia e resa.
Spensieratezza ed ansia.
Al primo insieme, fanno capo brani sulle righe come l’opener Benzin, la devastante Zerstören o la divertente Te Quiero, Puta! (ascoltare Till mentre declama zozzerie in spagnolo è assolutamente imperdibile); all’altro, invece, capolavori emozionali come Spring, Stirb Nicht Vor Mir (Don’t Die Before I Do), con tanto di Sharleen Spiteri alla voce, e la strappalacrime titletrack, ispirata nientemeno che alla Heidenröslein di Wolfgang von Goethe, storia di un bimbo che, trovata in un campo una rosa, vuole farla sua sebbene lei gli ricordi delle sue spine (ovviamente, il bambino la coglierà e lui finirà col farsi male).
È questa sorta di dolcissima pena a permeare l’intero lavoro della band, a renderlo così intimo e così sofferto.
Abbandonate le dimensioni controverse del sadomasochismo inscenato in Sehnsucht o della sessualità di Herzeleid, Rosenrot è un lavoro testualmente maturo, in grado di confrontarsi con le tematiche del rapporto interpersonale con una sconvolgente, ma acuta, leggerezza.

Die Nacht öffnet ihren Schoß
Das Kind heißt Einsamkeit
Es ist kalt und regungslos
Ich weine leise in die Zeit
Ich weiß nicht wie du heißt
Doch ich weiß dass es dich gibt
Ich weiß dass irgendwann
irgendwer mich liebt     

canta Lindmann in Stirb Nicht Vor Mir: la notte apre il proprio grembo / il bambino si chiama solitudine / è freddo e immobile / piango silenziosamente nel tempo / non so come ti chiami / ma so che esisti / so che prima o poi / qualcuno mi amerà.
Brividi.
Che dire, infine, del reparto sonoro?
Produzione eccelsa, ottima prova vocale di Till (come al solito), chitarre distruttive come da buon trademark ed un comparto basso – batteria da lasciare il segno.
Resta da chiarire un ultimo punto, prima di chiudere l’articolo ed è relativo alla prepotenza con cui le orchestrazioni del Doktor Lorenz s’impongano all’orecchio dell’ascoltatore.
A differenza, ad esempio, di Mutter, in cui le tastiere, sebbene presenti, avevano il compito di “raffreddare” l’album ed esaltarne la componente “industriale”, qui si ha l’impressione che esse vengano promosse a filo narrativo dell’intero lavoro, ammorbidendone gli spigoli laddove le chitarre danno vita ad un muro sonoro d’inaudita rabbiosità (Mann Gegen Mann), esaltandone l’identità nel momento in cui si passa all’esistenzialismo.
A distanza di sette anni, Rosenrot è ancora un lavoro capace di stupire, emozionare e coinvolgere … più capolavoro di così.

Titletrack

01. Benzin
02. Mann Gegen Mann
03. Rosenrot
04. Spring
05. Wo Bist Du
06. Stirb Nicht Vor Mir
07. Zerstören
08. Hilf Mir
09. Te Quiero Puta
10. Feuer & Wasser
11. Ein Lied

Anno: 2005
Genere: Industrial Metal
Etichetta: Universal

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