Poi il vuoto…dopo il Trail Of Dead si apre un periodo tuttosommato nullo a livello musicale nella vita del povero Closer. Più o meno un mesetto passato a lavorare tanto, con notevoli eccezioni una fantastica festa di Halloween passata a distribuire cioccolatini sulla porta di casa a bambini di colore accompagnati dalle grosse mamme in giro per Georgetown, e poi tutti a casa di Vlad, un fantastico ragazzo rumeno amico di Ignazio, con la passione per l’alcool, le donne ed i Gogol Bordello; una gita al Verizon Center per vedere finalmente nella mia vita una partita NBA tra i Wizards ed i Nuggets (dove Iverson faceva assist a tutti, compreso me, e Carmelo ne mette insieme qualcosa come 37…); e tanto cinema in lingua originale (The Darjeeling Limited su tutti, ma poi un buon Rendition).
E non è che gente importante non sia venuta a suonare…anzi, vi faccio un elenco: Be You Own Pet la sera di Halloween (con festa a tema Guerrieri della Notte…), i The Go!Team, i Black Angels, i Warlocks…dove? Quasi tutti al Rock’n’Roll Hotel, zona NE (North East) di DC, vicino a quella Gallaudet University, a quella New York Avenue dove abbiamo avuto il primo, sconfortante incontro con la dura realtà nascosta (ma non troppo) della miseria che ci circonda. E visto che mi trovavo come al solito da solo a dover andare da quelle parti, i consigli degli amici locali mi hanno convinto ad abbandonare i miei disegni di dominio completo del mondo musicale americano. Sarebbe stato un trionfo vedere anche questa gente, ma quando qui ti dicono di non andare in una zona perché non è sicura, allora vuol dire che non è sicura veramente. Ed io non me la rischio, altrimenti senza di me chi ve lo rompe il cazzo ogni settimana con articoli su gruppi assolutamente sconosciuti???
Ma alla prima occasione utile Closer torna all’attacco: è sempre il fedele Black Cat che ci presenta l’offerta. Arrivano gli Electric Six, ed il buon Antonio si offre di accompagnarmi. Anzi, di più, convinco il buon Antonio a preparare la recensione per la serata, in previsione di un fantastico ritorno di Rush sulle pagine web. Diciamo che questa ipotesi è rimasta tale, e quindi mi tocca scrivere qualcosa a me…Come al solito il sabato qui fanno gli sboroni ed eccoci davanti due gruppi spalla per la serata. Si parte con i The Golden Dogs, interessante indie pop band proveniente dalla remota e meravigliosa Toronto, fantastica metropoli con una forte minoranza italiana, situtata sulle rive del lago Ontario, nel Canada. Ho un fantastico ricordo del Canada, e di Toronto in particolare, e le novità musicali provenienti con sempre maggior frequenza da quelle parti, mi incuriosiscono da sempre. I Golden Dogs sono formati da Dave Azzolini (voce e chitarra), Jessica Grassia (tastiera e voce), Taylor Knox (batteria), Neil Quin (chitarra e voce) e Stew Heyduk (basso e chitarra). Dalla loro nascita nel 2001, hanno pubblicato due album, Everything In 3 Parts (2003) e Big Eye Little Eye (2006), sempre per la True North Records. Antonio li stronca subito, ma il loro show intenso, sentito, partecipato, mi colpisce. La marcia di Saints At The Gates, caratterizzata da un suono pulito fino all’improvviso e furioso assolo rock di Dave, e l’ipnotica e sublime Construction Worker stanno una spanna sopra tutti gli altri pezzi, così come la sfuriata finale di Birdsong. Nota di colore: Jessica provvede con grazia a cambiare le targhe di fronte alla tastiera per indicare quale canzone stanno suonando.
Stasera andiamo al risparmio, niente birra. E non c’è nulla da festeggiare, visto che il gruppo successivo ci annoia da morire. I californiani The Willowz formati da Richie James Follin (voce e chitarra), Jessica Anne Reynoza (basso, chitarra e voce), Loren Shane Humphrey (batteria) ed Aric Christopher Bohn (chitarra e voce) si fanno notare solo per i capelloni lunghi, il cappello di Richie e la bella Jessica che sta la basso…Chautauqua è il loro ultimo album, uscito quest’anno per la Dim Mak. Un folk rock che non ha nulla di alternativo rispetto a quanto già sentito, e non offre nulla di nuovo ed interessante alle nostre orecchie ormai abituate a ben altri livelli…Antonio condivide, e se fosse per lui le critiche sarebbero ancora più aspre.
Dopo un’oretta di supplizio, finalmente arrivano gli eroi della serata. Coloro che potrebbero salvare questo sabato sera si chiamano Electric Six, provengono da Detroit, Michigan, la Motown che ha dato i natali ad alcuni dei gruppi più importanti nella storia della musica del secolo scorso. Dedom è stato colui che ci ha infettati con il virus dei sei elettrici, già da un bel po’ di anni…The Colonel (chitarra), Johnny Na$hinal (chitarra) Smorgasbord! (basso e chitarra), Tait Nucleus? (tastiere) e Percussion World (batteria) entrono in giacca e cravatta, mentre Dick Valentine (voce) entra con un mantello da Batman e di gira di spalle per mostrare la scritta “Showtime”, allarmante e minacciosa traccia di apertura del nuovo album ed anche del concerto. Tutti questi nomi d’arte iniziamo a confondermi, così come la musica che si diffonde dalle casse appena Dick decide di levarsi il mantello ed iniziare le danze. Decine di yuppies iniziano ad affollarsi davanti al palco, vestiti di tutto punto, saltellano felici come gatti a cui solletichi il pancino. Album nuovo dicevamo: I Shall Exterminate Everything Around Me That Restricts Me From Being The Master è uscito agli inizi di ottobre per la Metropolis Records. Un album eccessivo, sia per numero di canzoni, sia nel senso che il titolo è stato preso in prestito da un quadro di Gorge Grosz che illustra la lussuria e la sovrabbondanza di Berlino negli anni’30, che viene paragonata agli eccessi ed alla opulenza della società americana contemporanea…giusto per far capire che non abbiamo a che fare con caproni qualsiasi ma con gente che ragione ed ha una testa sulle spalle. Album nuovo ma attitudine vecchia, cioè quella di coniugare ritmi ballabili ad una dimensione rock che nella veste live prende facilmente il sopravvento. Down At McDonnelz ha un ritornello sparato che dice “…people need a place to go…now everybody down at mcdonnelz they’re down with ronald mcdonald and now they’re hitting the bottle and everybody cooooooooooooooooooooooooooooooool…” dovrebbe confermare quanto detto prima e inquadrare anche politicamente gli Electric Six…ma stasera Dick non ha intenzione di parlare di politica…o no? Si va avanti con la musica, ed Antonio sgrana gli occhi per l’impatto potente che ha la chitarra di Johnny. Produzione abbondante quella dei sei elettrici, che prima di I Shall Exterminate…avevano pubblicato Switzerland nel 2006 (sempre per la Metropolis), Seňor Smoke nel 2005 (WEA) ed il magnifico Fire nel 2001 (XL Recordings). E sono proprio i pezzi di Fire quelli che fanno saltare in aria il Black Cat: dalla prima hit Danger!High Voltage, primo singolo del gruppo, alla scatenata Electric Demons In Love. La funky ma feroce Improper Dancing è un’apoteosi elettrica, come una tempesta di fulmini, che si dilunga con Devil Nights e Dance Epidemic. Gli acceni politici di Dick Valentine si fanno sempre più frequenti, fin quando dice “Vi ricordate che ho detto che oggi non parliamo di politica? Bene, dimenticatelo!” ed inoltre “Stasera siamo gli unici a fare qualcosa qui a Washington…”.
Il bis viene chiamato a gran voce dal pubblico che reclama Gaybar, il successo maggiore del gruppo. Esecuzione perfetta e morale alle stelle. La serata danzareccia si conclude nel migliore dei modi possibili, ma nel peggiore dei mondi possibili. Spiacente Leibniz, ormai Dick Valentine ha preso il tuo posto nel frenetico e sovrabbondante, opulento ed indifferente mondo del XXI secolo…
mag 03
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