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mag 03

Le loup + These United States + Thao Nguyen and The Get Down Stay Down @ Black Cat

These United States

Il terzo sabato yankees lo passiamo ovviamente sempre al Black Cat, ma questa volta con i These United States e Le Loup. Saltiamo a piedi pari l’appuntamento con i Black Rebel Motorcycle Club ed i Kings Of Leon al 9:30 per troppe ragioni. Nonostante adori i BRMC, le due serate sono entrambe sold out, l’eventuale prezzo del biglietto va necessariamente dai 35 $ in su, loro aprono il concerto ai KOL e non il contrario ed il loro ultimo album Baby81 non mi ha fatto esaltare. Birra Moretti: evviva la sincerità.
Quindi scegliamo un profilo basso, come quello degli scoiattoli: silenziosi e rapidi, ci dirigiamo verso la 14esima a tutta velocità verso il cibo prelibato che viene portato sulla tavola del Black Cat. Gli scoiattoli generalmente si nutrono di noci e ghiande, ma quelli americani non disdegnano le patatine fritte con un po’ di salsa barbecue, esperienza registrata al Lincoln Memorial. Chi siamo? Io ed Antonio. Chi è Antonio? Chi è Antonio??? Antonio è quell’amico mio simpatico, ma talmente simpatico che a tavola ti racconta sempre di quando puliva la piscine dei miliardari americani di quest’area e risucchiava anche i pesci di 300 $ nella pompa…E dopo che racconta per l’ennesima volta questa storia capisco che è arrivato il momento di scollarlo da tavola e portarlo al Black Cat, ma non abbastanza in tempo per il primo show dei Thao Nguyen & The Get Down Stay Down.
Arriviamo invece giusto in tempo per i These United States e, sorpresa sorpresa, piacciono tantissimo ad Antonio. Certo, questi non penso abbiano piscine da ripulire, ma Antonio si scopre essere un fine intenditore musicale, attento nei particolari tecnici e strumentali molto più del sottoscritto (non è che ci volesse molto…). Inoltre anche lui si lancia in recensioni musicali per alcuni siti abruzzesi. Ma passiamo ad i TUS: provenienti dall’area di DC e capitanati da Jesse Elliot, un ragazzo simpaticissimo e molto alla mano, i TUS impressionano per il loro folk rock fatto di banjo, pedal steel guitar, chitarra, basso e batteria. I loro pezzi inizialmente si infilano con profonda dolcezza nei nostri apparati acustici, come nel caso di First Sight: la voce timida di Jesse parte piano e ti accompagna per mano quasi sussurrando verso i landscape americani fatti di grandi praterie meno verdi del solito per l’atteso arrivo della stagione autunnale. Jenni Anne Grab My Hand è una dolce e lenta carezza prima di un bacio appassionato, in cui Tom Hnatow ed il suo pedal steel guitar finisce il lavoro con una tecnica sopraffina. Ecco: ora mi tocca spiegaro cosa diavolo è il pedal steel guitar…Non lo so, ma dalle informazioni ricevute dall’ingegner Antonio pare sia una chitarra che funziona come una tastiera: si suonano le corde poste sulla tastiera insieme ai pedali posti nella parte inferiore dello strumento. Sempre in base ad Antonio, sembrerebbe molto più complicata da suonare per l’impossibilità di riconoscere preventivamente le note, che vanno trovate sul momento. Per ulteriori informazioni contattatelo Antonio, la cui storia d’amore con J.Tom Hnatow (che avrà un happy end) solo un paio di settimane più tardi è appena iniziata. Siamo in attesa di capire chi partorirà per primo… La blueseggiante The Business invece dimostra quanto possano essere divertenti questi ragazzi: i coretti di contorno al ritornello di questo pezzo vengono rallentati per farvi partecipare il pubblico, con un effetto ululato assolutamente divertente. I’m in business, I’m into the business, I’m working for some men…I’m in buisness, honey don’t you want me now, i gotta keep some brand new cadillac of a plan…Eccezionale. Si sciologono anche le calotte polari e si entra nell’atmosfera giusta. Anche King and Aces spinge nella stessa direzione con forza e dimostra il talento di Jesse nel comporre e cantare i pezzi del gruppo. Gli occhi di Antonio, prima di posarsi su qualcosa di più appetibile, si posano sulla chitarra di J.Tom Hnatow: il suo stile viene giudicato perfetto, ed io mi accodo all’Antonio pensiero, anche se non so bene di cosa diamine stiamo parlando. Ma mi piacciono, e molto. Il loro live è ricco di sorprese, come quando fanno salire sul palco i membri dei Le Loup, il gruppo successivo, per una jam all togheter veramente notevole.
La pausa viene rinfrescata dalla ormai classica Sierra Nevada, mentre la gente inizia a riempire di brutto il locale: Le Loup sono una band locale che ha appena pubblicato il suo album di debutto per la mitica Sub Pop Records. Si intitola The Throne of the Third Heaven of the Nations’ Millenium General Assembly, un concentrato di musica sperimentale che ha lo scopo di elevarti verso lo spazio, in modo da farti osservare dall’alto il nostro pianeta e la sua vita di tutti i giorni. Appena attaccano a suonare si capisce che si è passati a qualcosa di più astratto e complesso rispetto allo show precedente: Sam Simkoff, (Banjo, Keyboards, Vox), Christian Ervin (Computer, Guitar), Mike Ferguson (Guitar, Amp, Vox) Nicole Keenan (Keyboards, French Horn, Vox), Dan Ryan (Bass, Percussion, Vox), Robert Sahm (Drums, Percussion, Vox), May Tabol (Guitar, Vox) e Jim Thomson (Guitar, Amp, Vox). Gliene mancano 3 per fare una squadra di calcio; anche se la loro attitudine non è quella di picchiare duro, ma di fare spettacolo, come il calcio champagne francese degli anni ’80 (francese è infatti il nome del gruppo, il lupo) e sul palco è tutto un vai e vieni di gente che si avvicenda su i più disparati strumenti e si sbatte da una parte all’altra senza sosta, magari aiutata anche da Jesse e Tom dei TUS che compaiono per qualche improvvisata. Il primo nome che ti viene in mente appena li ascolti, ma anche appena vedi il numero dei componenti dell’allegra brigata è quello degli Arcade Fire. La traccia omonima di apertura viene quasi sussurrata tra sospiri ansanti al pubblico, mentre si inizia a notare la verve di Sam, che si denota chiaramente come il fulcro dal quale parte tutto. Outside of this car si muove su sentieri indie pop già tracciati da band come i Broken Social Scene: l’uso delle voci e dei cori si rivela magistrale creando un effetto di sospensione tra il mondo reale ed una dimensione onirica adatta all’ascolto prima di coricarsi. We are gods, we are Wolves è una locomotiva da traino che ti trascina verso l’alto, tra morbide nuvole ondeggianti sopra rosa scenari irreali. Uno splendido pezzo, il cui crescendo viene contrassegnato passo passo dall’attivazione degli strumenti e delle voci sul palco con una perfezione maniacale. Ma Le Loup è capace anche di svegliarsi di soprassalto ed aggredire gli innocui passanti con le sue zanne aguzze ben nascoste dietro il muso. E con tutta lo roba che ci sta sul palco vi posso assicurare che il frastuono che si impenna è clamoroso, e vista la giovane età che hanno i componenti della band, ma soprattutto la passione che ci mettono, non sarebbe azzardato pensare che ne risentiremo parlare più in là…Non la pensa l’ingegner Antonio, per il quale l’unica cosa degna di menzione del gruppo è il vestitino rosso della bella May che lo ispira particolarmente…per cosa immaginatelo voi.

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