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mag 03

Longwave + Robbers on High Street + Telograph @ Black Cat

Telograph

Partiamo dal presupposto che il Black Cat è divenuta la mia nuova tana. Dire che conosco tutti la dentro è poco, abbiamo fatto amicizia persino con il tipo che ci ha sbattuto fuori la prima sera. Alan inoltre è una persona squisita, ed in caso di sold out, molto frequenti da queste parti (adoro questo paese!), posso fare riferimento a lui. Una prova di ciò vi verrà fornita presto (spero). Il corollario di tutto ciò è che ormai ogni sabato si finisce lì, tra pinte di Sierra Nevada (definitivamente eletta a birra ufficiale della mia residenza statunitense) e ottimo rumore a stelle e strisce. Il tutto ad un prezzo irrisorio, massimo 15 $ per tre gruppi e 4 ore abbondanti di musica (gestori italiani prendere nota)…
Dopo qualche discussione sulla porta di casa, decido di mollare i coinquilini su P street e dirigermi da solo verso la 14esima. E’la prima volta che mi muovo da solo in DC, tutti mi avevano detto di stare attento vista la pericolosità della capitale, una delle città con il più alto tasso di criminalità della nazione. Nonostante sia appunto la capitale. Roba che costrinsero la squadra di basket locale a cambiare nome: i Washington Bullets si trasformarono negli attuali Washington Wizards, per la gioia delle coscienze profonde dell’America. Ed adesso, dopo che sono arrivati i Wizards in città, tutto è cambiato, le pallottole hanno lasciato il posto a conigli e cappelli a cilindro, persino il mago Silvan si fa vedere ogni tanto a Dupont Circle per una birra, ma poi scompare misteriosamente senza lasciare traccia di se. Se facesse scomparire le pistole dai supermercati magari qualcosa cambierebbe. ..
Vabbene, basta con le minchiate. Arrivo al Black Cat verso le 21.30, Alan alla porta mi chiede se questa volta me lo sono portato il passaporto. Gli spiego che non si trattava di me, pago i 12 $ e mi lasciano entrare. Al piano superiore entro insieme ad Arash Ardalan, Matt Kenchington, Gary On ed Andy Boliek: sono loro i Telograph. Formatosi nel 2004, ci presentano il loro primo EP, Little Bit Of Plastic, uscito quest’anno: un indie pop di elevata qualità con poco di yankees e molto di british, che ha come punti di riferimento primari i Radiohead, specialmente in episodi come Eye for an Eye (il pezzo più figo, ti rimane appiccicato addosso come la puzza degli hamburger di Five Guys) e Beneath Your Feat. I quattro si muovono molto bene sul palco, hanno una loro fisicità ben definita, ed il loro pezzi ti accarezzano con un certo savoir faire anche grazie alla fantastica voce di Andy, che eleva di molto le qualità del gruppo. L’EP dovrebbe essere solo una succosa anticipazione dell’album che i Telograph starebbero registrando attualmente…
Il turno successivo è affidato ai Robbers On High Street: mi ricordanno troppo gli Strokes, gruppo che sono riuscito a seguire solo per un album e mezzo. Poi ci ho rinunciato: e forse anche loro… Ben Trokan, Steve Mercado e Morgan King sono di New York ed hanno alle spalle due album: Tree City del 2004 e Grand Animals, uscito quest’anno. Si muovono costantemente tra l’indie pop e quello rock minimale che accattiva la simpatia dell’ascoltatore, ed un certo gusto nel costruire melodie con una relativa facilità. The Fatalist si fa subito notare sopra tutti gli altri pezzi, anche grazie alle ottime linee di basso ed alla agilità con cui le note scivolano facilmente nelle nostre orecchie. How It Fall Apart è invece una avvincente canzone giocata sulle tastiere e le chitarre ad evocare lontani tramonti pop. Ma i ragazzi ci sanno fare anche picchiando duro: Hot Sluts (Say I Love You), sarebbe perfetta per partire verso Las Vegas stasera, magari carichi di buona roba, come Hunter Thompson aveva immaginato e Terry Gilliam ha magistralmente eseguito… Crown Victoria è veramente un bel pezzo, e Spanish Teet è carica di uno stiloso pathos d’olteoceano. Bring On The Terror poi . I Robbers On High Street, nonostante la giovane età, sanno come far vibrare gli strumenti sul palco. Ecco poi scendere su di noi come una benedizione Japanese Girl, l’asso nella manica che non ti aspetti. Ok. Questi sanno suonare. Ed anche bene direi…
Dopo un po’ è il turno dei Longwave, anch’essi di NY, molto più maturi e famosi dei precedenti gruppi con cui dividono la scena stasera: la loro nascita viene datata al 1999. E si sente subito. Steve Schiltz, Shannon Ferguson, Mike James e J. Molina hanno alle spalle quattro album. Anche loro come i Telograph sembrano più british di quanto le loro origini farebbero immaginare, con una propensione al melodico che prende facilmente la mano: ce lo dicono le chitarre che stanno su Crushed Down And Faded, che fa parte del primo album del gruppo, Endsongs del 2000, semplici e dirette, che portano con loro il dono di un rock genuino e non scontato con un finale gustoso che cerca di arrampicarsi vette elevate. La qualità del suono è elevata, accuratamente messa a punto con mano sicura e ferma. Ma è senz’altro quando si impennano le chitarre che i Longwave danno il meglio. Wake Me When It’s Over per esempio: un pezzo veramente impressionante, il migliore della serata. Parte con un ondulazione possente che  mette già agitazione, ed appena parte la voce ecco apparire per qualche secondo il fantasma spettrale dei Joy Division. Dura poco, fortunatamente, giusto il tempo di raddrizzare le coordinate vocali e strumentali e portarle su territori più praticabili…Anche Here It Comes alza un frastuono assurdo, ed il suono tira troppo, tanto che il movimento si inizia a sentire attraverso i corpi che mi circondano. I Longwave riescono ad arrangiare i loro pezzi con una certa facilità ed in maniera semplice: Tidal Wave contenuta nell’album The Strangest Things del 2003 è una hit da classifica da queste parti, il pubblico la conosce a memoria e l’atmosfera si fa più intima rispetto a prima. There’s a Fire martella ripetutamente il pubblico, prende un attimo di pausa, ma giusto una rincorsa, prima che scatti di nuovo una sessione ritmica travolgente. Life Is Wrong, ha invece accenni più psicadelici ed introspettivi. Il fatto che i Longwave abbiano diviso il palco con gli Strokes (nonché con i Vines in Italia…) viene in mente immediatamente quando ascolti Pool Song e Tell Me I’m Wrong: siamo nel campo di caccia di Casablancas e soci, dalle parti di Room On Fire,ma con una certa originalità che li distingue dai più famosi concittadini.
La macchina si ferma, scendo in mezzo alle mille luci tirate su dal niente nel deserto. Grissom mi urta e mi fa cadere la birra senza chiedermi scusa, sta cercando le chiavi per terra con quella lucina blu che fa tanto figo in televisione…Io salgo le scale che portano al Bellagio e tiro le somme della serata. Il primo sabato after Black Lips (evento epocale per il mio povero cervello) lo abbiamo passato ascoltando l’eco degli Strokes che riecheggiava nelle valli di DC ancora con un certo riverbero, nonostante siano ormai passati abbastanza inutilmente gli anni in cui Casablancas & Co. facevano immaginare un futuro roseo per il rock a stelle e striscie. I Robbers on High Street soprattutto, ma anche i Longwave per certi versi, sembrano trarre linfa interessante dalle sonorità strokesiane, mantenendo però una definita identità artistica. Mi avvicino al tavolo della roulette ed è arrivato il momento di puntare: mi guardano tutti, anche Terry Benedict…Silenzio in sala, persino le slot machines tacciono per un istante…Fino a quando non sento le mie parole che riecheggiano nel casinò e dicono: “Punto tutto sul 12 nero…quello con la scritta Telograph…”

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