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mag 03

Melvins + Big Business @ Black Cat

Melvins

Diciamo pure che il primo mese abbiamo giocato a baseball. Il paragone regge, qui ci stanno i playoff, e tutti i gruppi che abbiamo visto avevano una certa leggerezza tipica dello sport praticato sul diamante. Ma come ci insegna il disegno dei Five Ponts fatto da Scorsese, gli Stati Uniti sono un paese fondato sulla violenza (ma chiederei a voi tutti, quale paese non lo è?…) e quindi lo sport più popolare è il violentissimo football americano. E Melvins e Big Business sono venuti appositamente dalla onnipresente Seattle per ricordarcelo. Con un placcaggio da manuale ed un fantastico gioco di squadra.

Non aspettavo altro. Il giorno dopo lo sconfortante spettacolo dei Voxtrot, si presenta l’occasione del riscatto 24 ore, dopo sempre sullo stesso palco. Stavolta non ho invitato nessuno, si trattava di una questione personale, delicata, della massima importanza. E poi, diciamoci la verità, non è da tutti andare a sentire i Melvins dal vivo. Esistono dei gruppi che puoi andare a vedere solo con una certo background (oltre ad una certa dose di follia che alberga nell’animo e che è sempre presente in me in maggiori quantità…), e la formazione di King Buzzo è sicuramente una di queste. Quindi mi avvio in solitario verso le pesanti vibrazioni di King Buzzo & Co.
Possiamo partire così: generalmente ci si imbatte nei Melvins quando si inizia ad allargare l’orizzonte del grunge, alla stessa maniera nella quale ci si può imbattere nei Mudhoney. E come questi ultimi, i Melvins hanno avuto un grosso ascendente sulle scelte artistiche dei Nirvana e di Cobain in particolar modo, anche grazie alla vicinanza geografica: entrambi bazzicavano nello stato di Washington (naturalmente non DC, ma quello dall’altra parte degli States, sul Pacifico con capitale Olympia e principale città Seattle). In particolare Cobain apprezzava particolarmente i Melvins, tanto da suonare saltuariamente con loro (Sky Pup). Ma in generale fu tutto il movimento grunge a collocarli nel Pantheon delle sue divinità, grazie al piombo pesante dei suoni emanati dalle loro tracce, al bizzarro senso dell’umorismo, ed al nichilismo imperante. Attivi dal 1982, i Melvins hanno realizzato qualcosa come più di venti album, per lo più di carattere sperimentale, ma anche gemme preziose ed imperdibili come Houdini e Stoner Witch (Honey Bucket, ooooohhhhhh, Honey Bucket…), collaborazioni con mostri sacri come Jello Biafra degli storici Dead Kennedys, una meravigliosa trilogia e strani incroci con diversi gruppi da cui sono nati animali senili…

Il gruppo di apertura sono i Big Business, una mirabile formazione basso e batteria, il cui batterista Coady Willis è una vera potenza della natura. Ex membro dei Murder City Devils, tecnica assolutamente i-m-p-r-e-s-s-i-o-n-a-n-t-e. Il bassista, Jared Warren, invece non ha bisogno di presentazioni, ma la facciamo lo stesso: era parte di un’altra formazione storica come i Karp (ed io c’ho due cd dei Karp, grazie Pino…). Pesantissimi riff di chitarra e violente sessioni ritmiche, trascinate dal vocione di Jared. Here Come The Waterworks è il titolo del loro nuovo album, uscito quest’anno per la Hydra Head, che contiene pezzi devastanti come Just As The Day Was Dawning, in cui Coady pista come un ossesso e Jared immette con classe ed esperienza nel corpo della canzone delle geometrie oblique sconcertatamene angoscianti, sia nella parte strumentale che nel cantato. Secondo (o terzo?) album dei Big Business, seguito del primo (e fortunato) Head For The Shallow, uscito nel 2005 sempre per la Hydra Head, Here Comes The Waterworks sembrerebbe maggiormente studiato per una avventurosa escursione dai ritmi lenti verso lo stoner rock più pesante, pelo pelo al confine con il mondo metal. Ci si diverte anche, come quando sale sul palco Dale Crover per un paio di pezzi alla chitarra o quando Jared posa appositamente per i flash delle digitali a fine canzone, facendo delle smorfie facciali chiaramente sarcastiche verso un determinato tipo di fare musica che ormai dilaga: si tratta del vedere che prende il sopravvento sul sentire, del video che diventa più importante dell’audio e via di seguito…non è buffo? Vedere, sentire, sicuramente non ha più importanza quando Hands Up cala su di noi e spacca in due in locale come un’accettata secca su un tronco d’albero.
Dicevamo che i Big Business hanno fatto due album. Ma potrebbero essere anche tre, visto che nell’intermezzo tra il primo ed il secondo i ragazzi sono divenuti parte del progetto Melvins, ne è prova l’album (A) Senile Animal (Ipecac Record). Eccocci spiegato il motivo della loro presenza qui stasera. Ed eccoci spiegati anche il motivo delle due batterie presenti sul palco: Coady si appresta a dividere la sessione ritmica con Dale Crover e quindi ci aspetta un bello spettacolino. Inoltre, visto che l’ormai mitico Coady è mancino, la scelta di poggiare le batterie una affianco all’altra ha l’intenzione di creare un effetto specchio tra i due batteristi!
Appena entra King Buzzo (aka Buzz Osborne) è un delirio. Ed appena tocca quella maledetta chitarra, ed appena iniziano a roteare le quattro bacchette per aria, come sciabole di legno prima della battaglia, il momento successivo è come se tuoni e fulmini si abbattessero sul Black Cat. Ecco arrivato il momento che tanto aspettavo da troppo tempo: perché il concerto è stupendo e le ombre che si stagliano lungo il palco sono particolarmente in forma. I ritmi lenti ma inesorabili, pesanti, ossessivi e rumorosi dei Melvins dilagano senza sosta nel locale, travolgendo tutto come un blob assassino. Lo show si incentra soprattutto, come prevedibile, sui pezzi di (A) Senile Animal e l’aggiunta dei Big Business inietta una nuova linfa vitale ai Melvins (se mai ce ne fosse bisogno), un soffio di vitalità che spolvera meccanismi assopiti ma ancora funzionanti per riportarli alla luce del giorno. Buzzo è sempre più King con i suoi capelli pazzi sparati in aria, mentre Jared Warren, che ha fatto in tempo ad andare a cambiarsi, sembra un pappone barbuto della costa ovest, appena uscito da un party a luci rosse. La potenza liberata ci sposta fisicamente lontano dal palco, ed il mio timpano sinistro, anche se non troppo vicino alla cassa, sembra cedere per un momento. Fortunatamente non è niente di preoccupante, si può continuare a fare su giù con la testa (rockeggiare come diceva Homer in una famosa puntata dei Simpson). Revolve arriva più sparata che mai, ed è una gancio destro che non ti manda subito al tappeto, all’inizio pesante e lurida come un barbuto camionista obeso dal camicione a quadrettoni, poi giocata magistralmente con la chitarra da Buzz Osbourne. Hooch invece ha una sessione ritmica di livello stratosferico e la doppia batteria non fa’altro che raddoppiare il volume di fuoco condotto magistralmente da Dale e Coady.
Se il valore dei Melvins questa sera non è stato altro che confermato, la vera sorpresa per me sono stati senz’altro i Big Business, la cui eccellenza mi ha colpito profondamente. Sia per aver visto dal vivo un componente dei valorosi Karp (autori di album memorabili ma anche delle copertine più brutte della storia!) come Jared Warren, sia per un batterista come ce ne stanno pochi al mondo. Tant’è che qualche giorno più tardi, in un freddo pomeriggio capitoliano, quando non si ha nulla da fare e ti rode un po’ perché stai in America ma non hai abbastanza soldi per viaggiare in questo immenso e straordinario paese, sarei andato insieme al buon’Antonio a fare un giro Adams Morgan, un curioso quartiere pieno di locali ed affollato da tanti negozietti vintage, tra i quali splende la gemma di Crooked Records. Niente minchiate commerciali, solo roba indie ed alternative e di altissima qualità. Si dà un’occhiata a qualche disco, e la mia attenzione si blocca sul dorato medaglione su sfondo nero di Here Comes The Waterworks dei Big Buisness…e quando lo riascolto ed arrivo in fondo ai 7 minuti e 10 della spaziale Another Beautiful Day In The Pacific Northwest la mia fantasia mi fa prendere il primo aereo verso Seattle, scendo ed inizio a girare come un pazzo per le strade, nei locali, sotto la Space Needle, incontro Chris, Jerry, Mark, e perché no, pure Kurt e Layne, ci beviamo insieme una birra, e poi ci rinchiudiamo in uno scassato garage pieno di cianfrusaglie ed attrezzi inutili a suonare ed ascoltare musica…

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