a cura di Jean Rock
In occasione dell’uscita del nuovo album di Staggerman ne abbiamo approfittato per organizzare una breve intervista a Matteo Crema, ideatore del progetto. L’intervista con il songwriter italiano spazia a 360°, dai suoi gusti personali, alla situazione musicale italiana odierna, senza dimenticare specifici riferimenti alle collaborazioni per Don’t Be Afraid and Trust Me.
- Quali motivi ti hanno portato a scegliere il nome d’arte Staggerman?
Fondamentalmente mi piaceva come suonava. Inoltre trovo interessante il fatto che il verbo “to stagger” possa significare sia “barcollare” che “strabiliare, meravigliare”.
- Come mai hai scelto di scrivere e cantare in inglese anziché in lingua italiana?
L’italiano è impegnativo e chi ti ascolta non perdona… mi sentirei costretto a scrivere cose che devono suonare per forza intelligenti. E fallirei miseramente. In inglese, invece, è più facile far passare per credibile anche una cosa che non è poi così illuminante, anche solo per una questione di come suona alle orecchie di chi ascolta… e di chi canta.
- Con che tipo di musica sei cresciuto?
Come la maggior parte dei musicisti che hanno all’incirca la mia età, sono cresciuto con il “grunge”. Scrivere o pronunciare questo termine ora è quasi divertente… uno si rende conto che in realtà con “grunge” ci si riferisce a tutto il rock che non fosse già stato catalogato o etichettato e che comprende quelle band attive tra la fine degli anni ’80 fino agli anni ’90 inoltrati. Ecco, sono cresciuto con la musica di quel periodo.
- Come e dove hai cominciato a suonare?
La chitarra mi è sempre piaciuta, fin da bambino, così quando ho saputo che la biblioteca del mio paese organizzava corsi di chitarra mi sono subito iscritto. Avevo circa dodici o tredici anni, ascoltavo il “grunge” (da molti veniva pronunciato proprio come si scrive e dai peggiori pronunciato “grenge”), quindi non potevo non approfittarne.
- La svolta, quando hai deciso di auto produrre le tue idee?
Nel momento in cui presi il coraggio a due mani e feci sentire qualche brano ad un paio dei miei amici più intimi, quelli che sapevo avrebbero anche potuto dirmi di lasciar perdere senza troppi giri di parole. Invece mi dissero di provarci e di buttarmi, che la roba che avevo scritto non era poi da buttare: fu così che nacquero le canzoni che fanno parte del mio primo album “Tiny, Tiny, Tiny”.
- Nessuno ti ha fatto problemi per il tipo di indirizzo che hai preso?
Scusami, ma mi hai posto questa domanda in un modo che mi fa ridere moltissimo! Cerco di fare il songwriter, mica il ricettatore di autoradio rubate…
- Quali gruppi ascolti in questo momento?
In questi giorni ho una vera e propria scimmia per una raccolta di brani di Scott Walker & the Walker Brothers… Inoltre c’è Ronnie Amighetti, che oltre ad essere uno dei miei più grandi amici è anche colui che co-produce insieme a me i miei dischi ed è il fonico che li registra, che sta cercando di trasmettermi la sua scimmia di questo periodo per i Killing Joke. Hai mai ascoltato “Hosannas From The Basements of Hell”? E’ fantastico anche solo partendo dal titolo! Comunque ascolto un po’ di tutto. Cerco di non pormi inutili limitazioni.
- Secondo te la musica riesce a riflettere il tempo in cui viviamo?
Be’, se parliamo dei Killing Joke, fortunatamente sì… Se invece parliamo del mainstream, sfortunatamente sì anche quello. I primi descrivono il mondo in modo cinico e brutale, dai secondi noti che brutta fine stiamo facendo senza che loro se ne rendano conto.
- Quali influenze riconosci come principali nel tuo modo di scrivere canzoni?
Non saprei. In quest’ultimo disco “Don’t Be Afraid & Trust Me” ho cercato di essere più intimo e personale, ma non è stata una cosa voluta o premeditata, è successo e basta. Credo di essere ancora troppo acerbo come songwriter per cercare di razionalizzare quali siano le mie influenze, soprattutto se parliamo delle liriche…
- Puoi riassumere la strumentazione che hai usato nella registrazione del tuo nuovo lavoro?
Niente di particolare… Un paio di chitarre acustiche, tre o quattro chitarre elettriche di cui un paio di ottima fattura, un paio di piccoli amplificatori valvolari, un paio di bassi con relativo ampli, qualche batteria, una tastiera, dei bravi musicisti, un buon fonico e tutti tendenzialmente portatori sani di orecchie, fattore che troppo spesso si tende a sottovalutare.
- Le sonorità non sono quelle di un disco italiano, come sei riuscito a legare le radici musicali americane con quelle italiane ovvero con le tue origini lombarde?
Considerando che la maggior parte della musica che ascolto è di stampo americano è praticamente automatico farsi influenzare da quel tipo di sonorità.
- Come lavori sugli arrangiamenti dei brani? Componi per sola chitarra o lavori già nell’ottica dell’inserimento di altri strumenti?
Dipende dalle volte. In alcuni casi mi capita di avere un brano e di “ascoltarmelo” già in testa compreso di arrangiamenti, quindi cerco di indirizzare le persone che suonano con me verso il risultato che vorrei ottenere. Altre volte mi lascio guidare dal caso e vado in studio “alla cieca”, lo arrangio al momento con i musicisti che sono presenti. Altre volte ancora propongo la canzone in sala prove e il resto nasce insieme ai musicisti che fanno parte della band con cui mi esibisco dal vivo e così finisce anche su disco. Parto però sempre da una base di chitarra acustica e voce.
- Com’è la situazione per i songwriters in tempi di crisi o comunque di scarso interesse per le nuove proposte che non abbiano un ritorno in termini di grandi vendite?
Be’, se lo facessi per un ritorno economico, ti assicuro che avrei già smesso. Ci si accontenta di fare quei pochi concerti che spesso sembrano piovuti dal cielo e di vendere qualche copia dei dischi. Quello che mi rende un pò perplesso è il fatto che anche in situazioni dove dovrebbe esserci più attenzione nei riguardi di gruppi più di nicchia, siano essi locali o festival, c’è spesso la tendenza a proporre quelle band che, sebbene in ambito un po’ più alternativo, garantiscono comunque un certo riscontro economico. Credo che però la colpa non sia da dare tutta a chi organizza, credo che anche il pubblico faccia la sua parte… sono in pochissimi quelli che vanno ad un concerto per scoprire cosa c’è di nuovo… alla gente piace andare sul sicuro.
- A parte fenomeni laterali come i talent show e le vendite dei dischi in edicola, ormai per molti artisti i servizi offerti dagli stores digitali, il facile accesso a strumenti come l’home recording e l’autoproduzione rappresenta l’alternativa per realizzare le proprie cose, cosa ne pensi?
Penso che sia benvenuto tutto ciò che ti permette di abbattere i costi di produzione e di far girare la tua musica il più possibile. Anche se in molti si improvvisano fonici provetti e alla fine non è detto che tutto ciò che è registrato in cameretta sia dignitoso. A mio avviso non basta avere un computer con una scheda audio collegata per dire “sto registrando un disco”.
- Un consiglio per chi vuole avvicinarsi al songwriting?
Ascoltare tanta musica e cercare di essere onesti con ciò che scrivete… che non deve essere per forza la verità.
- Che progetti hai per il futuro?
Per ora cerco di suonare il più possibile in posti dove ne valga la pena. Vorrei tanto ringraziare te e la redazione di MusicZoom per avermi ascoltato e recensito.
Commenti Recenti